Sempre più spesso vengono segnalati in città, e perfino la Capitale ha avuto il suo 'allarme cinghiali'. Per contrastare gli sconfinamenti da più parti si invoca un intervento dei cacciatori. "Ma consentire l'attività venatoria anche nelle pochissime aree protette, come quella del Vastese, sarebbe un grave errore e si rivelerebbe un boomerang, finendo per innescare la moltiplicazione di questi animali. E questo per una questione di feromoni". Parola di Andrea Mazzatenta, docente della Facoltà di medicina veterinaria all'Università di Teramo ed esperto di feromoni, cin occasione di un incontro a Vasto sulle 'Ragioni biologiche della diffusione del cinghiale e i problemi giuridici annessi' (Teatro delle Figlie della Croce).
"L'area di rifugio del cinghiale nel Vastese è molto piccola. Questo animale è organizzato in una società matriarcale: ogni famiglia - spiega Mazzatenta all'Adnkronos Salute - è comandata da una femmina, la 'matrona' o matriarca, madre di tutti i componenti (tranne i maschi maturi, che vengono allontanati dal gruppo). La matrona emette un feromone che blocca l'estro delle altre femmine: lei è l'unica che si riproduce, ma è anche quella che è più a rischio per la caccia, perché negli spostamenti mette al sicuro i piccoli e tutti i componenti del gruppo e finisce per esporsi di più ai colpi dei cacciatori. Se viene uccisa, però, il blocco scompare e tutte le altre femmine vanno in estro. Risultato: se prima la matrona aveva 5-6 cuccioli, poi le sorelle finiscono per formare gruppi di 50 esemplari".
"Le sorelle, orfane della matrona, restano insieme e finiscono per spostarsi in cerca di cibo. Questa è la causa dell'aumento dei cinghiali che abbiamo registrato negli ultimi anni: l'attività venatoria non è una risposta", sostiene il ricercatore. Lo stesso accade se si mira ai grossi maschi. "Entrano in gioco quelli più giovani e fertili, così si amplia la base della popolazione. L'obiettivo deve essere piuttosto quello di avere pochi individui che vivono tanto: bisogna far invecchiare la popolazione dei cinghiali creando aree protette, e lasciando spazio di 'lavoro' a lupo e volpe, che attaccano i piccoli o i soggetti più deboli", assicura l'esperto.
Non si potrebbe, allora, dare indicazioni simili ai cacciatori? "Non otterrebbero lo stesso risultato mirando ai piccoli, perché se ne eliminano troppi, la femmina torna subito in estro per 'rimpiazzarli'. Insomma, la società del cinghiale ha un meccanismo di equilibrio interno legato proprio ai feromoni molto delicato, e l'intervento dell'uomo rischia di alterarlo ottenendo proprio il risultato opposto a quello che si vorrebbe", conclude Mazzatenta.