A questo punto Metro-Goldwyn-Mayer (ora Amazon Studios) potrebbe riscrivere titoli di coda che rendano giustizia a italiani ‘oscurati’ come Sergio Leone e Mario Soldati
Dietro il famoso film che ha vinto ben 11 Oscar, ‘Ben Hur’, c’è stato un patto tra Metro-Goldwyn-Mayer (oggi controllata da Amazon Studios), Cinecittà e il governo italiano nella figura di Giulio Andreotti allora ministro delle Finanze: utilizzare numerose professionalità italiane nella pellicola, ma senza citare i loro nomi nei titoli di testa e di coda affinché risultasse una realizzazione interamente statunitense. Un patto che in buona sostanza omaggiava gli americani ma dava lavoro alle famiglie italiane, coinvolte a migliaia nel colossal: 30 mila persone tra costruzione delle scene, confezione di 32 mila abiti, arredi, corazze, lance e spade di legno con lame similferro, cascatori, armieri, stallieri e un esercito di addetti ai servizi vari; quattro mesi di lavoro per 6500 comparse pagate ciascuna 3.300 lire giornaliere.
A portare alla luce questa ricostruzione inedita è il giornalista Michele Bovi che all’AdnKronos racconta: "Come mi ha detto Ferdinando Marra, all’epoca, tra il maggio 1958 e il gennaio 1959, quindicenne appassionato di cinema, accanto a suo padre sui set di ripresa, ‘Ben-Hur’ è stato un colossal americano realizzato soprattutto da italiani, pure se nei titoli compaiono quasi esclusivamente nomi di attori e addetti ai lavori d’oltreoceano. Secondo Ferdinando, infatti – sottolinea Bovi - storia e crediti del film che ha consacrato Cinecittà come Hollywood sul Tevere andrebbero finalmente riscritti con i nomi dei nostri connazionali che hanno avuto i meriti maggiori: da Giulio Andreotti a Maurizio Lodi-Fé, dal principe Alessandro Tasca di Cutò a mio padre Pietro Marra", l’addestratore di cavalli a cui facevano capo gli stuntmen di Cinecittà, fra gli ultimi testimoni di questo film che nei titoli di coda ‘oscurò’ anche personaggi del calibro di Mario Soldati e Sergio Leone, oltre a Giuliano Gemma e Lando Buzzanca che in ‘Ben Hur’ ebbero ruoli minimi, salvo poi diventare gli attori popolari che conosciamo.
Ma è possibile per gli eredi pretendere da Amazon Studios la riscrittura dei titoli di testa e di coda con i crediti dei tanti italiani che allora furono oscurati? Lo abbiamo chiesto all’avvocato civilista, esperto di diritto d’autore, Italo Mastrolìa: "Anche a distanza di molti decenni da una produzione cinematografica è possibile rivendicare il riconoscimento dei crediti per alcuni dei protagonisti non menzionati nei titoli di coda del film”, chiarisce subito all'Adnkronos. (segue)
Una risposta che consentirebbe di aprire un nuovo scenario per il film ‘Ben Hur’ (e per tanti altri cui in quel periodo toccò la stessa sorte) che potrebbe tornare a risplendere ancora una volta, riuscendo persino a offrire una novità, dopo tanti anni e dopo un gran numero di repliche, quella di veder riconosciuti i diritti dovuti non solo a Sergio Leone e Mario Soldati (ingaggiati allora dalla Metro-Goldwyn-Mayer per la seconda unità di regia) ma anche, come ricorda Bovi, al maestro Carlo Savina (che diresse l’orchestra per la colonna sonora con interventi sulla partitura firmata dal compositore ungherese Miklós Rózsa), a Vittorio ed Elso Valentini (rispettivamente scenografo e arredatore), a don Dante Balboni (assistente alla Biblioteca apostolica vaticana, chiamato a comprovare l’attendibilità storica di costumi e apparati scenici), e a diversi attori presenti e dialoganti in varie scene.
Attori come Giuseppina ‘Josè’ Greci nel ruolo di Maria mamma di Gesù, Stella Vitelleschi nel ruolo di Amrah, Mino Doro nel ruolo di Grato e molti altri noti interpreti come Aldo Silvani, Pietro Tordi, Aldo Pini, Diego Pozzetto, i due campioni di pugilato divenuti attori Tiberio Mitri ed Enzo Fiermonte, oltre ai già richiamati Giuliano Gemma e Lando Buzzanca che, a dispetto delle fugaci apparizioni l’uno come centurione e l’altro come schiavo, potrebbero dare lustro ad un ‘Ben-Hur’ orgogliosamente anche molto italiano. Senza dimenticare i formidabili stuntmen di Cinecittà: Otello Capanna soprannominato ‘l’uomo più forte di Roma’, Alfredo Danesi, Sergio Casadei e Attilio Marra, fratello dell’addestratore Pietro.
L’esame del caso, che potenzialmente potrebbe riguardare molte altre pellicole, ha portato l’avvocato Mastrolìa ad andare più in profondità: "L'autore e i coautori (soggettisti, sceneggiatori, autori della colonna sonora originale e registi, ndr) hanno diritto di essere indicati e riconosciuti come creatori dell’opera, e possono rivendicare in qualunque momento la loro paternità (art. 20 legge 22 aprile 1941, n. 633, la cosiddetta Legge sul diritto d’autore). Ulteriore facoltà di questo diritto morale - sottolinea ancora - è quella di pretendere che il proprio nome figuri sugli esemplari dell’opera con ‘la sua qualità professionale e il suo contributo all’opera’. Si chiama diritto di menzione ‘nella proiezione della pellicola cinematografica’ (art. 48 Lda) che spetta anche all’autore della scenografia, all’autore dei dialoghi, al direttore della fotografia, al traduttore dei dialoghi".
"Il diritto di menzione, come esplicazione del diritto alla paternità, è un diritto morale dell’autore e, come tutti gli altri diritti della personalità, è irrinunciabile, inalienabile e imprescrittibile – argomenta l’avvocato Mastrolìa - I diritti morali sopravvivono all’autore stesso: gli eredi, infatti, acquistano la facoltà di farli valere a difesa dell’immagine e della personalità del defunto. E in assenza di eredi diretti, tali diritti vengono esercitati dallo Stato, attraverso il ministro della Cultura (art. 23 Lda)".
E gli attori e i professionisti che hanno collaborato alla produzione del film? Che diritti hanno? "Anche gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che abbiano sostenuto le prime parti nell’opera hanno diritto a vedere indicato il loro nome nella comunicazione al pubblico e nei supporti contenenti la relativa fissazione (art.83 Lda)", quindi nei dvd, nelle pellicole, nelle locandine. Ma se gli artisti e, più genericamente, i chiamati in causa allora firmarono un contratto con la rinuncia alla menzione? "Devono considerarsi inefficaci e non tutelabili dalla legge italiana quelle clausole che eventualmente prevedevano la rinuncia al diritto di menzione da parte dei protagonisti. L’attuale rivendicazione non comporta un risarcimento in termini economici – chiarisce l’avvocato Mastrolìa - bensì il rimedio della menzione nei titoli di coda e in tutte le comunicazioni dell’opera".
"L’onere di provare la fondatezza della pretesa - fa presente l'avvocato - grava naturalmente sugli interessati (o sui loro eredi) che intendano esercitare il diritto morale d’autore". Insomma gli interessati, se lo desiderano, possono farsi avanti a dispetto degli oltre 60 anni trascorsi e se sono in grado di provare la loro partecipazione al film ottenendo così la menzione che a loro spetta, senza però poter sperare in un ristoro in denaro, a meno che, osserva l'avvocato Mastrolìa, non ci sia "un rifiuto indebito" da parte della società di produzione, in questo caso Amazon Studios.
(di Veronica Marino)