di Gloria Frezza
Autori latini e condottieri storici, sono stati ricchi di citazioni gli interventi in Senato - da quello del presidente Conte, passando per Matteo Salvini e Matteo Renzi - che si sono succeduti nella discussione sul futuro del governo.
Il primo nominato da Giuseppe Conte è stato Federico II di Svevia - lo 'Stupor Mundi' - un condottiero leggendario e abile pensatore, autore del trattato 'De arte venandi cum avibus'. "Permettimi di richiamare il pensiero di un sovrano illuminato lontano nel tempo – esordisce l'ormai ex premier - 'Quantunque la nostra maestà sia sciolta da ogni legge, non si leva tuttavia essa al di sopra del giudizio della ragione, che è la madre del diritto". Conte usa l'aforisma per sottolineare l'avventatezza del gesto del suo collega Matteo Salvini, nel dare l'avvio a una crisi di governo 'inattesa'.
Poi, tornando a parlare del Paese che ha avuto l'incarico di amministrare, Conte ricorre al titolo di un libro di Jurgen Habermas, 'Tempo di passaggi'. "L’Italia sta attraversando un periodo di grandi trasformazioni, un tempo di passaggi come direbbe Habermas", chiarisce. Habermas è un politologo tedesco di 90 anni e in quel titolo raccoglie nove saggi di riflessione su temi di attualità politica.
Infine Conte chiude con Martin Buber, filosofo e teologo austriaco vissuto a cavallo tra Otto e Novecento. "La politica è davvero quella nobile arte che consente di perseguire percorsi di razionalità nel riconoscimento delle diversità" snocciola il presidente, affermando di 'citare liberamente'.
Nel discorso di risposta, Matteo Salvini si affida ai letterati latini. Nel suo intervento ne cita ben due, iniziando dal 'principe della retorica', Marco Tullio Cicerone: "Libertà non è avere un padrone giusto, ma non avere nessun padrone". E aggiunge: "Io non voglio l'Italia schiava di nessuno".
Poi vira verso temi teologici e riporta al centro 'il cuore immacolato di Maria', ricevendo dai banchi dem l'invito a "mostrare le stimmate". Torna allora sul sentiero battuto della latinità e rispolvera Publio Virgilio Marone, in uno dei suoi versi più famosi: "Omnia vincit amor", di cui però sbaglia la traduzione. Nella X egloga delle 'Bucoliche' Virgilio pronuncia questa locuzione e aggiunge: “et nod cedamus amori”, l'amore vince tutto e noi cediamo all'amore. Salvini lo prende in prestito per svelare all'Aula di non nutrire rancora nei confronti degli alleati a 5 Stelle.
''Voi citerete Saviano e io San Giovanni Paolo II e questi diceva: 'La fiducia non si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con fatti concreti'". La religione torna subito dopo nella bocca di Salvini prima dell'invito a 'completare il programma' per i pentastellati. La citazione è da 'Parole sull'uomo', pubblicato dal Pontefice nel 1989.
Chiude la fila religiosa Matteo Renzi, che invita Salvini all'osservazione di un terzo 'Matteo', quello evangelico. Il senatore dem lo invita a comprendere la parte che dice “Avevo freddo e mi avete accolto, avevo fame e mi avete dato da mangiare”, per sottolineare gli obblighi morali nei confronti dei migranti ancora in mare.
Impossibile non inserire l'ultima frizzante citazione di giornata, di cui è protagonista Paola Taverna, o meglio sua nonna. La senatrice M5s si rivolge a Salvini e, mettendo maliziosamente l'accento sull'incertezza nella traduzione di Virgilio, dice: “Io preferisco citare mia nonna, che diceva che, quando un politico vuole fare una 'porcata', o la fa a Ferragosto o quando gioca la Nazionale, e visto che la Nazionale non ci dà soddisfazioni ultimamente...”