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Etiopia, l'esperto Puddu: "Tutti i rischi della crisi del Tigrai"

Una situazione molto grave dal punto di vista umanitario, rischi di destabilizzazione anche in Somalia, Eritrea e Sudan, la possibilità che lo scontro politico si trasformi in conflitto interetnico con conseguenze anche in altri parti dell'Etiopia

(Fotogramma)
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12 novembre 2020 | 18.52
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Una situazione molto grave dal punto di vista umanitario, rischi di destabilizzazione anche in Somalia, Eritrea e Sudan, la possibilità che lo scontro politico si trasformi in conflitto interetnico con conseguenze anche in altri parti dell'Etiopia. A spiegare all'Adnkronos la gravità della crisi scoppiata nella regione settentrionale del Tigré, è uno dei più attenti studiosi dell'Etiopia, Luca Puddu, della scuola superiore meridionale università Federico II Napoli.

"Si tratta di un conflitto per molti versi annunciato, visto che le tensioni fra il governo federale del premier Abyi Ahmed e l'amministrazione tigrina erano palpabili da tempo. Probabilmente non ci si aspettava una escalation così rapida di eventi. Il rischio - sottolinea Puddu - è che Abiy Ahmed sia stato troppo ottimista nel prevedere una rapida sconfitta del Fronte popolare di liberazione del Tigré".

"Il punto è che quello che Abiy Ahmed presenta come un confronto politico tra il governo federale e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigré, che era il partito di governo uscente, rischia di diventare un vero e proprio conflitto interetnico e dunque non risolversi semplicemente con una eventuale sconfitta militare del Fronte Popolare. E' di ieri la notizia che il partito tigrino ha ordinato la totale mobilitazione della popolazione. Il Fronte Popolare gode di un ampio consenso sul territori", nota Puddu, aggiungendo che ormai si va affermando "una retorica di scontro interetnico".

"Il rischio - prosegue lo studioso - è di creare delle fratture all'interno della società etiopica, sicuramente per quanto riguarda i rapporti con la società tigrina, fratture che si potrebbero ripercuotere anche sui rapporti fra il governo federale e altre costituenti etniche nel sud del paese, che vedono con apprensione le tendenze centralizzatrici del primo ministro e che potrebbero decidere di portare il conflitto politico su un piano militare".

Il conflitto, avverte Puddu, rischia inoltre di aggravare la situazione umanitaria in una regione, quella del Tigré, dove vi è già "una crisi alimentare a causa dell'invasione di locuste che ha interessato la regione del Corno d'Africa negli ultimi mesi".

"In termini politici più ampi - continua lo studioso - si tratta di un conflitto che rischia di destabilizzare l'intera regione. Alcune unità armate federali impegnate nel Tigrè, erano precedentemente schierate in Somalia. Questo rischia ad esempio di aprire un vuoto potere in Somalia, con il rischio di una nuova diffusione di movimenti armati che contestino l'autorità del governo federale somalo". Quanto all'Eritrea, che confina con il Tigrai, il governo dell'Asmara "condivide le direttrici politiche di azione di Abiy Ahmed, la decisione di risolvere il problema tigrino con l'uso forza, ma naturalmente, nel caso in cui questo conflitto non si dovesse risolvere in tempi brevi, non può essere esclusa una sua propagazione verso il territorio eritreo, con una possibile destabilizzazione del regime eritreo".

Un'altra zona a rischio destabilizzazione è il confine fra il Tigrai e il Sudan, dove si vanno riversando migliaia di profughi, compresi soldati federali. "Le operazioni militari nel Tigrai si sono concentrate sin da subito, e non a caso, nella parte occidentale, l'area che confina con il Sudan". Questo perché, spiega Puddu, "il Sudan era l'unica unica via d'accesso ai mercati internazionali, all'approvvigionamento di beni alimentari, armi e di combustibile per il Fronte popolare di liberazione del Tigrai".

"Per questo motivo la frontiera fra il Tigrai e il Sudan, potrebbe rimanere un'area calda per cui alcuni gruppi armati". Il Sudan, nota lo studioso, "è inevitabilmente un area di sfogo per i miliziani impegnati nel conflitto, i rapporti parlano principalmente di uomini delle forze armate federali che avrebbero attraversato il confine, o più in generale di rifugiati. Ma tra questi flussi di rifugiati potrebbero celarsi anche delle sacche di manodopera militare che potrebbero essere reimpiegate in un momento successivo in caso di destabilizzazione della frontiera etiopico sudanese".

"Lungo la frontiera già operano tutta una serie di gruppi armati, alcuni dei quali legati al Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai altri al governo federale. La militarizzazione di quest'area - rimarca Puddu- rischia di andare a incidere sui rapporti bilaterali fra Etiopia e Sudan con tutte le potenziali conseguenze del caso sulla sicurezza, ad esempio del cantiere della grande diga della rinascita etiopica", in costruzione sul Nilo azzurro.

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