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"In Libia torture, sfruttamenti e uccisioni continue di rifugiati"

La denuncia nel nuovo rapporto di Amnesty International

(Afp) - AFP
(Afp) - AFP
24 settembre 2020 | 15.47
LETTURA: 3 minuti

"In Libia decine di migliaia di rifugiati e di migranti sono intrappolati in un circolo vizioso di crudeltà, con prospettive scarse o assenti di trovare un modo legale e sicuro per uscirne fuori: persone che, dopo le indescrivibili sofferenze patite in Libia, rischiano la vita in mare cercando salvezza in Europa solo per essere intercettate, riportate nel luogo di partenza e sottoposte alle medesime violenze da cui avevano cercato di mettersi al riparo. Lo ha dichiarato Amnesty International in un nuovo rapporto intitolato “Tra la vita e la morte”.

Il rapporto contiene resoconti di rifugiati e migranti che hanno subito o assistito a torture, sparizioni forzate, stupri, detenzioni arbitrarie, lavori forzati, sfruttamento e uccisioni da parte di attori statali e non statali in un clima di pressoché totale impunità. Viene dato anche conto di alcuni recenti sviluppi, come il trasferimento di persone riportate in Libia in centri non ufficiali di detenzione – tra cui la famigerata Fabbrica del tabacco di Tripoli – e il trasferimento sommario di rifugiati e migranti dalla Libia orientale.

“Un Paese ridotto a pezzi da anni di guerra è diventato un ambiente ancora più ostile per rifugiati e migranti in cerca di una vita migliore. Invece di essere protetti, vanno incontro a una lunga serie di agghiaccianti violenze e ora sono persino ingiustamente accusati, per motivi profondamente razzisti e xenofobici, di aver diffuso la pandemia da Covid-19”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Nonostante tutto questo, anche quest’anno l’Unione europea e i suoi stati membri stanno portando avanti politiche che intrappolano decine di migliaia di uomini, donne e bambini in un circolo vizioso di crudeltà, dimostrando un cinico disprezzo per la loro vita e la loro dignità”, ha aggiunto Eltahawy.

“Poiché le autorità libiche seguitano a non agire a fronte di un consolidato sistema di violenze contro i rifugiati e i migranti, l’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero rivedere completamente la loro cooperazione con la Libia, condizionando ogni ulteriore forma di sostegno all’adozione di misure immediate per fermare le orribili violenze ai danni dei rifugiati e dei migranti, come ad esempio porre fine alla detenzione arbitraria e chiudere i centri di detenzione per migranti. Fino ad allora, nessuna persona soccorsa o intercettata in mare dovrebbe essere fatta tornare in Libia e, al contrario, dovrebbe essere fatta approdare in un porto sicuro”, ha proseguito Eltahawy.

Dal 2016, con l’Italia in prima fila, gli stati membri dell’Unione europea collaborano con le autorità libiche attraverso la fornitura di imbarcazioni veloci, formazione e assistenza nel coordinamento delle operazioni in mare, per assicurarsi che le persone che intraprendono il viaggio nel Mediterraneo siano intercettate e riportate in Libia, aggirando così il divieto internazionale di respingimento. Durante questo periodo, la guardia costiera libica sostenuta dall’Unione europea ha intercettato in mare e riportato in Libia circa 60.000 uomini, donne e bambini, 8435 dei quali solo dal 1° gennaio al 14 settembre 2020.

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