Bosi: "L'aumento dei morti non è percepito quanto invece la difficoltà di stoccare le casse, elevati i rischi igienico-sanitari per tutto il Paese"
di Silvia Mancinelli
"L'aumento dei morti non è percepito quanto invece lo è il problema gestionale e di logistica cimiteriale/cremazione. Ci occupiamo come settore di circa 600mila decessi l'anno (1650 morti al giorno in media dati Istat, ndr) e il fatto che ci siano un migliaio di decessi in più dovuti a questo virus è ininfluente per il corretto snodarsi dell'attività. Il problema grosso è la logistica di stoccaggio di questi defunti perché, a seconda del territorio, dove ci sono picchi di mortalità si vanno a congestionare gli ambiti di deposito in attesa del seppellimento o della cremazione". A parlare, all'Adnkronos, è Alessandro Bosi, segretario nazionale della Feniof, federazione nazionale imprese onoranze funebri.
Nel nord Italia, da Milano a Bergamo, da Monza a Brescia non è tanto evidente l'aumento dei morti, rispetto ai dati consueti e che pure mettono paura considerati nell'insieme, quanto piuttosto la difficoltà di provvedere al loro corretto smaltimento. "L'esempio di Bergamo è uno dei tanti, dove addirittura hanno dovuto metterli nelle chiese in attesa di poterli trasferire nel luogo di sepoltura finale - spiega Bosi - Abbiamo sollecitato anche tramite una cordata di associazioni e di soggetti del settore, in concerto con la Protezione Civile, l'adozione di una norma urgente che precetti di fatto l'operatività di tutti i dipendenti di cimiteri e crematori in modo da assicurare il massimo smaltimento di questi defunti perché rischia di diventare un problema igienico-sanitario importante per il Paese".
E qui nasce, infatti, un problema ancora più grande: "Molti morti che sono destinati ai loculi sono confezionati con uno zinco sigillato all'interno della cassa di legno che consente il mantenimento anche fuori dal cimitero o dal crematorio nei locali di stoccaggio - sottolinea il segretario della Feniof - ma i feretri destinati alla cremazione o all'inumazione hanno solo un sacco biodegradabile che col passare dei giorni diventa permeabile e dopo qualche giorno l'eventuale percolazione di liquidi può rendersi evidente e diventa un problema igienico sanitario per tutti, non solo per gli operatori". Ma non è tutto, perché "buona parte delle imprese che lavoravano nelle prime zone rosse d'Italia - continua Bosi - sono state messe in quarantena perché entrate in contatto con defunti o familiari che li hanno potenzialmente contagiati. Quindi, se invece di 10 imprese alla fine ne lavorano 3, queste fanno fatica a fare il lavoro di tutto e si arriva all'intervento dell'Esercito e quant'altro. Da qui la nostra richiesta di consegnare parte delle mascherine e prodotti sanificati oggi precettati per i sanitari anche agli impresari funebri. Perché è vero che siamo in seconda battuta ma se ci ammaliamo noi chi li porta i morti?"
Ma come è cambiata l'organizzazione del lavoro dell'impresa e il contatto con i parenti che devono dar mandato del funerale? "Il problema è concreto, soprattutto considerando il momento delicato che vive una persona che subisce un lutto. Una persona deve esser delegata per tutti a venire da noi, con le dovute distanze, abbiamo suggerito a tutti, come Federazione, di comunicare ad esempio la volontà di cremazione (che bisognava rendere al comune) attraverso videomessaggi su whatsapp, identificando il soggetto che la rilascia, per poi depositarla al Comune: è un sistema che permette di limitare al massimo i contatti personali, tra l'altro già sdoganato a Milano. Anche le famiglie in lutto hanno dimostrato un grande senso di responsabilità, e tutti hanno capito che le nuove misure che vietano le onoranze funebri in senso lato sono doverose. Oggi, di fatto, il funerale si articola principalmente sul trasporto, il defunto viene incassato immediatamente e portato in cimitero senza cerimonia".