Alla vigilia del 39esimo anniversario dell'attentato i due esponenti della destra radicale italiana chiedono di "inchiodare alle loro responsabilità mandanti e autoriinsieme a coloro che hanno più volte depistato"
"A 39 anni dalla strage di Bologna possiamo sperare in un giro di boa che inchiodi alle loro responsabilità mandanti e autori insieme a coloro che hanno più volte depistato. Noi, vittime acclarate di depistaggi ripetuti, lo auspichiamo con forza". Lo affermano, alla vigilia del 39esimo anniversario della strage di Bologna, Gabriele Adinolfi e Roberto Fiore, due nomi di peso della storia della destra radicale italiana, entrambi riparati all'estero dopo che il movimento che avevano fondato alla fine degli anni '70, Terza Posizione, venne messo sotto inchiesta proprio all'indomani dell'attentato.
"Quel che sostenemmo nella conferenza del 29 gennaio al Flyon Hotel di Bologna, e cioè che il massacro è ascrivibile alla Internazionale Neotrotzkista del terrore, viene confermato dalla perizia tecnica sull'esplosivo del 27 giugno - aggiungono - I meccanismi sono infatti i medesimi impiegati in altri attentati dalla stessa internazionale. Questo si aggiunge alle presenze di terroristi tedeschi legati ai servizi della Germania comunista e non solo, segnalate quella mattina a Bologna e che gli apparati si sono sforzati di nascondere per decenni".
"Non ci si deve fermare però lì - proseguono Fiore e Adinolfi - Le complicità tra diverse strutture formatesi durante la seconda guerra mondiale, che hanno continuato a lavorare mano nella mano, vanno smascherate. Non ci si limiti a fare luce al pian terreno! Tra l'altro le ultime scoperte sulla strage di Capaci sembrano confermare quelle complicità, istituzionali, nazionali e internazionali, che in quei giorni decapitarono uomini che avevano capito e non flettevano di fronte al volto mostruoso della verità. Sarebbe il caso di riaprire alcuni processi, come quello per l'assassinio di Piersanti Mattarella, rivedendolo alla luce del trio Stato Cia Mafia domandando all'ancor vivo Virginio Rognoni, allora Ministro dell'Interno, le ragioni per le quali la vittima, di ritorno da un incontro con lui, aveva confidato alla propria segretaria di essere stato condannato a morte da uomini che siedevano a Roma (tutta la testimonianza è presente nel processo)".
"Noi abbiamo dato vita ad un'inchiesta giuridica internazionale sul processo di Bologna ma riteniamo che non ci si debba fermare lì. La conferenza che abbiamo in cantiere per fine settembre dal titolo Stragi e Potere integrerà elementi finora sconosciuti ma importanti nella soluzione dei quesiti più scabrosi. Presto sapremo chi e perché destabilizzo' l'Italia, presto assisteremo alla fine della più grande eclissi di verità e giustizia dei tempi recenti", conclude.