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Lo sfogo di Maddalena Rostagno

Maddalena Rostagno
Maddalena Rostagno
07 dicembre 2018 | 16.10
LETTURA: 5 minuti

Sono trascorsi dieci mesi dalla sentenza d'appello del processo per l'omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo ucciso da Cosa nostra nel 1988, ma, nonostante il termine scadesse lo scorso 20 agosto, non c'è ancora traccia delle motivazioni, che hanno spinto la Corte d'assise d'appello di Palermo a confermare la pena all'ergastolo per il boss trapanese Vincenzo Virga e ad assolvere l'altro imputato, Vito Mazzara. La denuncia è di Maddalena Rostagno, figlia del sociologo. "Caro Babbo Natale, sperando di ricevere molti libri in regalo, potresti anche porgermi le motivazioni della sentenza di secondo grado, decisa il 19 febbraio scorso, e il 20 agosto scadeva il termine per depositarle?", dice con amara ironia la figlia di Mauro Rostagno, che ha seguito tutte le udienze, sia di primo che di secondo grado.

Come apprende l'Adnkronos, la Corte d'assise d'appello dovrebbe depositare la sentenza "entro la fine dell'anno". Il ritardo sarebbe dovuto alla "particolare complessità del processo". Solo le motivazioni di appello erano lunghe 800 pagine. Secondo quanto deciso dalla sentenza, emessa lo scorso 19 febbraio, è stata la mafia ad uccidere Mauro Rostagno il 26 settembre 1988. La Corte di Assise di Appello di Palermo ha confermato, come detto, la condanna all’ergastolo per il boss di Cosa nostra trapanese, Vincenzo Virga. Il collegio, presieduto da Matteo Frasca - che è anche Presidente della Corte d'appello di Palermo - e giudice a latere Roberto Murgia, estensore della sentenza, ha invece assolto, per non aver commesso il fatto, Vito Mazzara, accusato di essere stato il killer del sociologo e giornalista. Per il collegio fu, insomma, un delitto di mafia, ma restano ancora molti punti oscuri, che tanti anni di indagini non hanno ancora chiarito. Vincenzo Sinacori, fino agli anni 90 capo della famiglia di Mazara del Vallo, ha detto: “Rostagno è morto per le sue trasmissioni televisive, non perdeva occasione di attaccare Cosa nostra”.

La sentenza di primo grado, dunque, è stata riformata solo in parte con i giudici della Corte d’Assise d’Appello che, evidentemente, non avevano ritenuto sufficienti per una condanna le analisi delle impronte genetiche trovate sui resti del fucile a canne mozze rinvenuti per terra sul luogo del delitto (la canna di legno si ruppe al momento dell’esplosione dei primi colpi), effettuati dai periti della Corte d'Assise di Trapani Paola De Simone, Elena Carra e Silvano Presciuttini. Su questo punto la difesa di Mazzara aveva tentato di far riaprire l’istruttoria dibattimentale e di produrre una nuova perizia sul dna, richiesta che però non è stata accolta dai giudici d’Appello.

Ecco perché sono particolarmente interessanti le motivazioni della sentenza, che dovevano essere depositate entro novanta giorni, per comprendere quali siano state le effettive valutazioni.

“Non possiamo che aspettare - aveva detto la caldo l’avvocato Carmelo Miceli, legale di parte civile per Chicca Roveri e Maddalena Rostagno - Intanto c’è una conferma che è stato un delitto di mafia. Noi confidavamo nella conferma, leggeremo con attenzione le motivazioni per comprendere le ragioni di questa riforma. Comprenderemo le ragioni dell'assoluzione che evidentemente hanno a che fare con la prova scientifica. Capiremo se è stata ritenuta una prova i cui risultati sono inutilizzabili o è una prova che è nata male in partenza”. La sorella del sociologo Carla aveva parlato di una "sentenza illogica”.

Il Pg Domenico Gozzo, che assieme al collega Umberto De Giglio aveva chiesto la conferma degli ergastoli per entrambi gli imputati, prima di uscire dall’aula aveva detto ai giornalisti: "Continueremo a lavorare”. Ma se da un lato sul nome del killer c'è ancora un alone di mistero, sono più chiari i contorni in cui si è consumato il delitto. “L’omicidio di Mauro Rostagno - avevano scritto i giudici di primo grado - volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”.

E nel corso della requisitoria anche i Pg avevano evidenziato presunti depistaggi che si sarebbero verificati nel corso delle indagini. Perché Rostagno dava fastidio alla mafia e non solo. Fu ucciso mentre si apprestava a raccontare in tv, su Rtc, gli affari di mafia e massoneria. “Bisognava mettere a tacere per sempre quella voce - scrivevano ancora i giudici - che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di potere”. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, fino agli anni 90 capo della famiglia di Mazara del Vallo, aveva raccontato le irritazioni del capomafia Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, ad ogni trasmissione televisiva. Poi c’è stato chi come Francesco Milazzo ha parlato di un ordine “partito dalla Provincia, perché il giornalista aveva toccato qualche nome importante nelle sue trasmissioni”.

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