
Dichiarazioni spontanee della donna nell'aula della Corte di Appello di Bologna: "Nessuna discussione con lei, volevamo che non tornasse in comunità. Partenza mia e del padre in Pakistan programmata da prima"
"Non sono stata io a uccidere mia figlia". “Quella sera Saman è uscita di casa, così anche noi. Dalle telecamere si vede bene, ma sarebbe stato bello se ci fosse stata anche la registrazione della nostra voce, che continuavamo a implorarla di non andarsene. Ho visto mia figlia camminare davanti a me, molto velocemente, davanti diversi metri da me, fino a quando l’ho vista sparire”. È il racconto che Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, fa nell’aula della Corte di Appello di Bologna dove è in corso l’udienza del processo di appello per l’omicidio della figlia, avvenuto la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021 a Novellara. “Da quando Saman era rientrata dalla comunità dormiva sempre con me e Ali - aggiunge - durante la notte, anche se c’era un momento in cui la sentivo muoversi, la pregavo di non andarsene, perché mi tornavano gli attacchi di panico”.
“Mi sento sotto pressione, affetta di depressione”. La madre di Saman ha iniziato le sue dichiarazioni spontanee nell’aula della Corte di Appello di Bologna ringraziando il presidente Domenico Stigliano per l’assenza di telecamere. “Inizio dalla mattina del 30 aprile - racconta - quando mi sono svegliata e ho fatto le faccende. Saman ha fatto colazione con il fratello. Quello stesso giorno lei ha espresso la voglia di fare il colore ai capelli, suo padre le ha portato la tinta e lei è andata in bagno a farsela. Dopo che ha fatto la doccia, è uscita, si è vestita, si è truccata e mi ha chiesto come stesse, mi ha chiesto di baciarla e l’ho baciata sulle mani, sulla guancia - continua piangendo - Poi è andata in camera di Shabbar e ha chiesto ad Ali di fare delle foto con il papà, perché stava per andare in comunità”. Mentre Nazia spiega questo particolare, Shabbar Abbas in aula è a testa bassa, commosso.
“Siamo scesi al piano di sotto, lei giocava col fratello mentre io preparavo da mangiare. Shabbar ha scherzato con me, perché il momento del digiuno era già passato e dovevo andare a mangiare. Quando mi sono ripresa, Saman ha visto che stavo piangendo, mi ha chiesto il motivo e le ho detto di non andare. Siamo andati tutti e quattro al piano di sopra, Shabbar era nella nostra stanza, io, Ali e Saman siamo andati in camera loro. Saman ha iniziato a dire che quella sera sarebbe andata via - prosegue la donna con un filo di voce, tradotta dall’interprete - Le ho chiesto di non parlarne, perché ogni volta mi sentivo male solo a sentirlo”.
La sera in cui Saman è sparita, il 30 aprile 2021, la madre la ripercorre nell’aula della Corte di Appello di Bologna. “Sono uscita di casa per respirare e lei diverse volte è uscita con me. Quando siamo rincasati, ho iniziato a piangere di nuovo. Lei mi ha detto che avrebbe evitato per quella sera, ma che sicuramente sarebbe andata via. A differenza di quanto dichiarato da Ali, non c’è stata alcuna discussione ma Shabbar le diceva comunque di rimanere a casa, l’unica nostra richiesta era che rimanesse con noi, che non si allontanasse”.
“Ho iniziato di nuovo a sentirmi male, sono uscita ancora da casa e ho iniziato ad avere attacchi di panico da quando lei è andata in comunità la prima volta. Prima non ne soffrivo. Quando siamo uscite - continua - Ali ci guardava dal piano di sopra. Saman aveva in mano il suo cellulare e quello di Ali. Ha insistito che se ne voleva andare, noi continuavamo a pregarla, che era già buio, ho chiesto ad Ali di dirglielo anche lui. Quello che ci siamo scambiate per le scale non erano i documenti ma 200€ che le ho dato perché aveva espresso la volontà di comprarsi un cellulare nuovo. Siamo scesi, ci siamo seduti in cucina, io e il padre ai suoi piedi implorandola di non andarsene a quell’ora tarda”.
“Quella notte (in cui Saman è sparita, ndr) l’ho passata piangendo. Tre, quattro giorni prima dei fatti, io e mio marito uscimmo per andare a fare il test del coronavirus. Quando siamo rincasati, Saman e Ali erano a conoscenza della nostra partenza già programmata, da prima ancora che mia figlia rientrasse dalla comunità”, dice Nazia Shaheen, nel corso delle dichiarazioni spontanee. “Ero io che volevo andare in Pakistan - continua - perché stavo molto male. Semplicemente Shabbar mi avrebbe riaccompagnato per tornare una settimana dopo in Italia”.
In aula la donna poi precisa: “Non è vero che chiesi ad Ali di registrare le chat di Saman, già sapevo tutto, perché dormiva con me”. “Ho passato la notte (quella tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021, ndr) piangendo - prosegue - L’indomani siamo partiti. Il rientro di Shabbar era già previsto dopo una settimana. Sono stata molto male anche durante il viaggio verso il Pakistan”.
“Dopo un paio di settimane che eravamo in Pakistan, ci hanno detto che Saman non si trovava più. Un ragazzo, un vicino di casa, mi aveva detto che su Internet aveva letto che era morta, ma gli ho risposto che non ne sapevo nulla. Quando Shabbar è rientrato, gli ho domandato se fosse vero, e lui ha detto di sì, che lo aveva saputo ma che non mi aveva detto nulla perché stavo molto male”, racconta la donna. “Non ci rimaneva altro che piangere, ho pianto soltanto. Non sono stata io a uccidere mia figlia - dice piangendo - Dal 2020 che Saman è andata in comunità ho continui attacchi di panico, anche durante la notte in carcere non dormo perché penso continuamente a lei”.
“Sono stati quelli della comunità a portare via mia figlia da me, non potevo vederla nemmeno da lontano. Io e Shabbar andammo nei loro uffici, dichiarammo la nostra rinuncia a portarla con noi in Pakistan, purché ce la riconsegnassero. Ci hanno negato questa possibilità”, dice la madre di Saman Abbas. “Mi sento morta, passerò quel che mi resta da vivere piangendo - aggiunge - Ho insistito io a rientrare in Italia per dire la verità, voglio chiedere al presidente se i genitori hanno un diritto inferiore rispetto alla comunità che prima ci ha allontanato da nostra figlia e ora nemmeno vedo più mio figlio. Non riesco a dimenticare Saman”. Infine, precisa: “Non c’è stato alcun incontro a casa nostra, come ha detto Ali. Sono una persona riservata, vengo da un villaggio, mai mi sarei esposta ai media, ma il dolore è più forte”, conclude, chiedendo al presidente della Corte, Domenico Stigliano, di incontrare il figlio Ali e suo marito Shabbar. (dall’inviata Silvia Mancinelli)