Umidità fattore chiave. Studio università di Trento e Napoli: "Può sopravvivere ore o anche giorni nelle gocce depositate"
Il coronavirus resiste più sulla plastica e meno sul vetro. E la sua maggiore permanenza dipende da due fattori chiave: le condizioni climatiche quali temperatura e umidità dell'aria, e le proprietà superficiali dei materiali. In particolare i virus fanno fatica a sopravvivere a umidità intermedie, mentre proliferano a umidità molto basse o elevate e al crescere della temperatura. E' quanto emerge da uno studio, condotto dall'Università di Trento e dalla Federico II di Napoli, pubblicato su 'Frontiers in Materials', che ha risposto ai tanti dubbi circolati dall'inizio della pandemia di Covid-19 sul fatto che, oltre alle mani, sia necessario igienizzare ripetutamente tanti oggetti di uso quotidiano, a partire da smartphone, tastiere, banchi, scarpe e vestiti, così come mezzi pubblici.
I ricercatori hanno dunque fatto dei calcoli per capire quanto il coronavirus potrebbe sopravvivere su superfici diverse, anche nella prospettiva di progettarle in modo che un domani siano a prova di virus. Lo studio rileva la sopravvivenza dei virus sulle superfici ed evidenzia come la permanenza dipenda dalle condizioni ambientali e dalla tipologia di materiale. Ad esempio, i virus fanno fatica a sopravvivere a umidità intermedie, mentre proliferano a umidità molto basse o elevate e al crescere della temperatura.
Non solo. La ricerca getta anche le basi per comprendere il legame tra sopravvivenza e bagnabilità (la capacità di un liquido di bagnare un solido) di una superficie da parte di una goccia di saliva. In particolare, si prevede un minor tempo di sopravvivenza sul vetro e maggiore su alcune plastiche.
Le gocce microscopiche di saliva che si disperdono nel parlare, tossire e starnutire rimangono in parte sospese nell'aria e in parte si depositano sulle superfici, a seconda della loro dimensione. "Vari virus, tra cui i coronavirus, possono sopravvivere diverse ore o anche giorni nelle gocce depositate", affermano gli autori dello studio, condotto da Nicolò Di Novo sotto la supervisione di Nicola Pugno dell'Università di Trento, in collaborazione con Massimiliano Fraldi, Giuseppe Mensitieri e Angelo Rosario Carotenuto dell'Università Federico II di Napoli.
"Gli esperimenti virologici hanno evidenziato che temperatura e umidità dell'aria e le proprietà superficiali dei materiali - spiegano - influenzano la persistenza e il potenziale di contagiosità dei virus contenuti nelle gocce. In particolare, la sopravvivenza di alcuni virus ha un andamento detto a forma di 'U' rispetto all'umidità relativa, con un picco di mortalità" del virus "a umidità intermedie, mentre cresce al crescere della temperatura".
"Di fatto - proseguono - le condizioni ambientali determinano la storia chimico-fisica di una goccia di saliva condizionandone il processo evaporativo. Essendo infatti la saliva un liquido complesso, in cui sono presenti diverse sostanze non volatili come sali, biomolecole e proteine, il processo di evaporazione dell'acqua di cui la goccia è composta modifica la concentrazione di tali sostanze e il livello di acidità del microambiente del virus, pregiudicandone la sua attività o invece prolungandone la vitalità".
"Dallo studio - concludono gli autori - emerge dunque per la prima volta una descrizione chiara del meccanismo che porta a una maggiore mortalità dei virus a umidità intermedie, la predizione del tempo di sopravvivenza di alcuni virus assimilabili ai coronavirus, e vengono inoltre fornite alcune formule matematiche che consentono di legare la sopravvivenza del virus nelle goccioline di saliva che si depositano sulle superfici con la bagnabilità delle stesse tramite un parametro che caratterizza i diversi materiali, chiamato 'angolo di contatto'. In particolare, tali risultati suggeriscono un minor tempo di sopravvivenza su superfici più idrofile come il vetro rispetto a quelle meno idrofile come alcune plastiche, confermando alcuni esperimenti riportati nella letteratura scientifica".