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Fecondazione eterologa, numeri raddoppiati

Fecondazione eterologa, numeri raddoppiati
22 marzo 2018 | 14.04
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Le donne che utilizzano ovociti donati da altre per diventare madri sono drasticamente aumentate negli ultimi 10 anni in Inghilterra: se nel 2006 erano 1.912, nel 2016 risultano 3.924. Quasi un raddoppio, come emerge dalle stime dell'Autorità per la fecondazione e l'embriologia umana (Hfea) del Regno Unito. Ma il nostro Paese sembra non essere da meno. Per fare un raffronto con l'Italia, dove questa pratica è peraltro consentita solo dalla metà del 2014, i dati della Relazione sulla legge 40 del ministero della Salute parlano di circa 2.000 cicli effettuati con questa metodica nel 2015.

E "secondo quanto emerge dai dati dei centri aderenti alla Società italiana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione (Sifes-Mr), nel 2016 il numero sembra sia quasi raddoppiato. Attendiamo comunque i dati ufficiali della prossima relazione ministeriale, sulla base del registro dell'Iss", dice all'Adnkronos Salute Andrea Borini, presidente della società scientifica.

Ciò che ancora manca nel Belpaese sono le donatrici volontarie di ovociti. Per cui, per effettuare la fecondazione eterologa, i centri specializzati acquistano gameti da banche estere. Fra i motivi, la mancata 'retribuzione' delle aspiranti donatrici. La direttrice della Hfea, Sally Cheshire, ha spiegato alla Bbc che Oltremanica sta invece aumentando "la sensibilità nei confronti della donazione di ovociti, pratica cresciuta di circa un terzo nell'arco di tempo considerato". Secondo la legge inglese, le donatrici non possono essere pagate, esattamente come in Italia, ma possono ricevere un rimborso spese fino a 750 sterline a ciclo.

"In Inghilterra - prosegue Borini - le donazioni non sono anonime. Ma bisogna considerare che non è consentito importare gameti, mentre da noi, a seguito della sentenza della Consulta, questo si può fare". Ed è ciò che di fatto sta consentendo di effettuare la fecondazione eterologa, oggi nel nostro Paese.

"Anche in Italia, dunque - prosegue il presidente Sifes-Mr - sono in crescita i cicli di fecondazione assistita da ovodonazione, perché aumentano le coppie che intraprendono questa strada, dopo aver tentato senza successo con i propri gameti; è sempre più alta, poi, la quota di donne che cercano un figlio più avanti con l'età, e sempre più spesso dopo aver tentato con i propri ovociti. Con i quali, a 40-41 anni, hanno il 10% di chance di successo, contro il 40% con le uova di una donatrice sotto i 35 anni. E' evidente, però, che in Italia non essendo state fatte campagne di informazione e sensibilizzazione, esistono pochissimi centri con una certa quota di donatori di seme e ovociti, per il resto ci si affida a banche di gameti all'estero".

"Come centri privati - ricorda Borini - abbiamo cercato anche di fare delle campagne di sensibilizzazione, ma le ragazze che sono disposte a donare gli ovociti preferiscono farsi un week-end in Spagna e rientrare con qualche soldo in tasca come compenso del proprio gesto. Anche l'egg-sharing, infine, cioè la condivisione di gameti fra coppie infertili, è diventato sempre più difficile da attuare, perché è stato limitato il numero di terapie ormonali a carico dello Stato", conclude.

"Grazie all'ovodonazione", commenta Filippo Maria Ubaldi, direttore clinico del Centro Genera di Roma, "una donna di oltre 40 anni è come se, geneticamente, potesse tornare ad averne 25 o 30. E questo è davvero molto positivo. Se in questo modo si risolve il problema della bassa qualità ovocitaria, il principale ostacolo a ottenere una gravidanza, vanno però correttamente informate le donne che scelgono questa opzione e va offerta loro assistenza specializzata per quanto riguarda i rischi ostetrici, una volta che rimangono incinte".

"Ormai è noto - dice l'esperto - che le coppie italiane procrastinano sempre di più il momento in cui cercare un figlio. La donna si sente pronta dopo i 40 anni, ma i dati clinici confermano che se fino a 43 anni ci possono essere ragionevoli possibilità di raggiungere l'obiettivo, dopo non sono più ragionevoli. Il ricorso all'ovodonazione in Italia è aumentato esponenzialmente ed è un'ottima soluzione per queste aspiranti mamme. Va sempre spiegato alle pazienti che fino al I trimestre di gravidanza i rischi sono gli stessi a tutte le età, però dopo, nel corso del II e III trimestre, diventano importanti le condizioni dell'utero, l'elasticità e la vascolarizzazione dei tessuti, e possono aumentare i rischi ostetrici e il pericolo di parto pretermine, diabete gestazionale e ipertensione. Le pazienti che devono ricorrere all'ovodonazione - conclude - devono dunque essere seguite da personale ostetrico e strutture che possano fronteggiare eventuali problematiche di questo tipo".

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