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Medicina: metà ipertesi non controllati, organi vitali a rischio

Medicina: metà ipertesi non controllati, organi vitali a rischio
14 ottobre 2016 | 14.24
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L'ipertensione è un killer "subdolo e silenzioso" che minaccia 1,6 miliardi di persone nel mondo. In Italia ne soffre un adulto su 4, il 25%, con percentuali che possono arrivare al 60-70% degli anziani: 16-18 milioni di connazionali che senza cure adeguate rischiano 'il default' di cuore, reni e polmoni. Organi vitali bersaglio della pressione alta. Eppure nella vita reale, al di fuori dal 'mondo perfetto' dei trial clinici, "il dato dell'ipertensione non controllata sfiora il 50% con gravi pericoli che vanno dall'infarto all'ictus fino allo scompenso cardiaco e all'insufficienza renale". Perché "la pressione non è solo un numero da ridurre", ma "un fattore di rischio primario da tenere a bada per evitare danni d'organo potenzialmente mortali".

Suona così il monito lanciato al Centro cardiologico Monzino di Milano in occasione dell'evento formativo 'Terapia antialdosteronica: un approccio multidimensionale', realizzato grazie al contributo di Therabel per discutere di una famiglia di farmaci in commercio da anni e considerati dagli esperti efficaci e tollerati. Attivi sulla regolazione degli elettroliti a livello renale, spiegano, riducono la pressione arteriosa e proteggono gli organi target dell'ipertensione attraverso modifiche strutturali 'scudo' e "un effetto antifibrotico unico", sottolinea Piergiuseppe Agostoni, responsabile dell'Area di cardiologia critica dell'Irccs meneghino, e professore ordinario di Cardiologia all'università Statale del capoluogo lombardo.

Su uno di questi prodotti, il canrenone, sono in via di pubblicazione nuovi dati che ne dimostrano l'efficacia e la sicurezza come terapia antipertensiva di seconda linea, subito dopo la prima a base di Ace-inibitori o sartani più diuretico. Indicazione per cui il medicinale è già autorizzato.

Nella cosiddetta 'real life' "la percentuale dell'ipertensione non controllata si avvicina al 50%", evidenzia Maria Antonietta Cicoira, professore associato di Cardiologia all'università degli Studi di Verona. "C'è una quota importante di sommerso", cioè di ipertesi non diagnosticati, "e ci sono molti pazienti che non vengono messi in terapia perché restii al trattamento". Complice la disinformazione che viaggia su Internet, "spesso arrivano dal medico pensando di saperne più di lui", osserva Francesco Locatelli, primario emerito del Dipartimento di Nefrologia e Dialisi dell'ospedale Alessandro Manzoni di Lecco. 'Dottor Google' detta legge e "la compliance, l'aderenza alle cure, crolla".

La pressione galoppa 'a briglia sciolta' e gli organi soffrono. "Il muscolo cardiaco inizia a indebolirsi. E se questo effetto è potenzialmente reversibile - avverte Cicoira - quando subentra lo scompenso il danno è fatto". Secondo le stime la sindrome del 'cuore stanco' colpisce oltre 1 milione di italiani, che nel 50-60% dei casi hanno prima sofferto di ipertensione. Dieci, 15 anni senza controllare un "nemico silente" che alla fine presenta il conto, sempre più salato in un Paese che invecchia. Ma l'ipertensione è compagna inseparabile anche dei reni malati: il 10% degli italiani ha una nefropatia grave e 9 pazienti su 10 sono anche ipertesi. "L'insufficienza renale cronica costringe già 850 persone per milione di abitanti alla dialisi - ricorda Locatelli - e ogni anno ci entrano in 165 persone per mln". Per la Penisola significa 51 mila già 'schiavi' di una macchina e 9.900 nuovi ingressi all'anno. "Numeri di un fallimento terapeutico", riflette lo specialista.

"La prima cosa da fare è misurare la pressione regolarmente, senza aspettare i sintomi di qualcosa che non va - ammonisce Cicoira che auspica la preziosa collaborazione dei medici di famiglia - La seconda è agire sugli stili di vita (niente fumo, controllo del peso attraverso l'alimentazione e l'attività fisica), e la terza sono i farmaci". Da scegliere tenendo presente che "il calo della pressione non deve avere solo un effetto emodinamico, bensì anche e soprattutto un effetto strutturale sull'organo bersaglio", precisa l'esperta. "Una terapia che sia antipertensiva, ma anche antifibrotica può proteggere dal danno", rileva Locatelli. L'analisi clinica dei pazienti deve avvenire secondo "un approccio multifattoriale e multiorgano", conclude Agostoni.

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