Il leader della Lega a villa Certosa dal Cavaliere. In Fi scoppia caso Gelmini
Vediamo che succede nei prossimi giorni... Come sempre capita nei momenti politici più delicati, Silvio Berlusconi si tiene aperte più strade. E anche per la gestione della crisi del governo Draghi, raccontano, ha deciso di fare così, mandando sempre in avanscoperta Antonio Tajani e preferendo parlare, per lo più con video messaggi o note (per lo più congiunte con Matteo Salvini) solo quando la partita si sta per chiudere. Non a caso, il Cav, al di là delle dichiarazioni ufficiali, a chi ha avuto modo di sentirlo in questi giorni si è detto pronto a sostenere il Draghi bis senza i Cinque stelle, ma va benissimo anche se rimangono i dimaiani, e non ha chiuso la porta al voto anticipato, senza però insistere troppo e con nettezza, come Giorgia Meloni, al ricorso alle urne.
L'unica certezza è che regge l'asse Lega-Fi: l'ex premier e Salvini si cercano, si sentono spesso al telefono e si incontrano: ora si stanno vedendo in Sardegna, senza la Meloni, perché, raccontano, è una riunione del centrodestra di governo e poi per Fdi, come ribadito l'altro ieri dalla leader di via della Scrofa, i vertici di coalizione vanno fatti solo in sede istituzionali e non a casa Berlusconi. Il Cav è convinto dell'opportunità che 'Super Mario' debba restare in carica, per non perdere innanzitutto i fondi del Pnrr, ma i 'contiani' non possono continuare a dare ultimatum.
Sulle elezioni prima del 2023, come al solito, dentro Fi si è riaperto il dibattito tra filogovernativi (con Gianni Letta in campo) e sovranisti. E infatti, puntuale, è scoppiato un nuovo caso Gelmini: oggi in una intervista il ministro degli Affari regionali e capodelegazione di Fi a palazzo Chigi, ha chiesto che i ''partiti che hanno avuto il senso di responsabilità di far nascere il governo Draghi non dovrebbero porre condizioni ma assicurare un sostegno leale fino in fondo". Della serie, secondo alcuni azzurri: niente veti o altolà, pur di salvare il 'soldato Mario'.
Parole, dicono i più maligni, dettate dal timore di perdere il proprio dicastero. Anche se, alla fine, fanno notare alcuni berlusconiani della prima ora, se dovesse cadere Draghi, Fi verrebbe penalizzata, perché perderebbe tre ministeri, occasione non facilmente ripetibile in futuro, visto i sondaggi che danno Fdi primo partito della coalizione con oltre il 20%, la Lega in calo e Forza Italia tra il 5 e l'8 per cento.
L'uscita della Gelmini, comunque, ha fatto arricciare il naso a molti. L'unico a parlare apertis verbis per criticarla è stato un altro esponente governativo, il deputato e sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè: ''La posizione di Fi è chiarissima ed è quella espressa da Tajani: non siamo noi che non vogliamo un governo con i 5 stelle, ma è Draghi che ha detto che non si può governare con loro. Quella della Gelmini è una rispettabile posizione personale, non è la prima volta che si segnala per questo''.
Stavolta Renato Brunetta tace ma va ripetendo che Draghi deve rimanere per salvare il Paese. Anche Mara Carfagna resta in silenzio, pur spiegando ai suoi, apprende l'Adnkronos, che per tutti i partiti questo è il momento della responsabilità verso il Paese e che i cittadini non capirebbero perché in soli 16 mesi il premier della salvezza nazionale dovrebbe andare a casa.