La sentenza di oggi del tribunale di Mansoura non è appellabile
Trentasei mesi dietro le sbarre, 22 dei quali già trascorsi rinchiuso tra continui rinnovi della custodia cautelare e continue attese per la sentenza. Arrivata invece oggi un po' a sorpresa, quando tutti, compreso il legale, si aspettavano l'ennesimo nulla di fatto. Il Tribunale per reati minori della sicurezza dello Stato di emergenza della seconda divisione di Mansoura, che il 7 dicembre del 2021 ne aveva disposto il rilascio, ha condannato Patrick Zaki a tre anni di reclusione per aver diffuso presunte notizie false. Il verdetto non è appellabile.
L'incubo per lo studente del Master Gemma in Women's and Gender Studies presso l'Università Alma Mater di Bologna era iniziato il 7 febbraio 2020, quando venne portato dietro le sbarre del famigerato carcere di Tora, dopo essere stato fermato all'aeroporto del Cairo. Nei mesi successivi si erano susseguite le udienze in cui ogni volta era stata rinnovata per 15 o 45 giorni la detenzione preventiva di Zaki, nonostante i numerosi appelli e iniziative del governo italiano, di politici, attivisti e associazioni.
Zaki era stato fermato al suo arrivo in Egitto per far visita alla famiglia, un periodo di vacanza che invece gli era costato l'arresto. Solo negli ultimi mesi di detenzione era stato trasferito nel carcere di al-Mansoura, città dove Zaki è nato il 16 giugno del 1991.
I capi d'accusa menzionati nel mandato di arresto erano minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di notizie false, propaganda per il terrorismo. In particolare, il ricercatore, che proprio un paio di settimane fa si è laureato a distanza, secondo le autorità egiziane avrebbe compiuto propaganda sovversiva attraverso alcuni post pubblicati su Facebook.
Il rinvio a giudizio era avvenuto invece per "diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese" sulla base di tre articoli scritti da Zaki. Tra i testi messi sotto accusa ne spicca uno, scritto nel 2019 sui cristiani copti in Egitto perseguitati dal sedicente Stato Islamico e discriminati da alcuni elementi della società musulmana. Lo stesso Zaki appartiene alla comunità copta egiziana.