Il social network, pur avendo 220 milioni di iscritti negli Usa, non viene usato dai candidati. Il commento di Domenico Giordano (Arcadia)
Quali sono i social media che domineranno la campagna elettorale americana? L’Adnkronos lo ha chiesto a Domenico Giordano, fondatore della società di comunicazione Arcadia, che tra le altre cose produce report quotidiani su quanto accade sui media digitali. “Il ruolo principale lo avranno Instagram e TikTok, i cui algoritmi di funzionamento garantiscono delle percentuali di coinvolgimento dei follower e dei tassi di interazione ai post decisamente più alti rispetto a tutte le altre”, esordisce Giordano. “Solo negli ultimi sette giorni, le percentuali di interazione al post degli account di Kamala Harris e di Donald Trump su TikTok sono rispettivamente del 30% e del 20% mentre quelle dell’engagement su Instagram sono del 4% e del 3,5%.”
Secondo l’esperto, il discorso pubblico, non solo in Occidente, parte e si genera essenzialmente sui social, tanto che gli scienziati sociali da qualche anno parlano di “piattaformizzazione della sfera pubblica”, per descrivere l’utilizzo dei social network quali principali luoghi di comunicazione pubblica, d’interazione e dibattito sui temi sociali e politici.
“Tra le piattaforme che hanno visto crescere in modo significativo proprio questo tipo di contenuti – prosegue Giordano - c’è LinkedIn, social lanciato nel 2003 con l’obiettivo di facilitare l’incontro tra professionisti e aziende. Solo che negli ultimi anni, per diverse ragioni abbiamo assistito a un processo di 'instagrammizzazione' di LinkedIn, che tra l’altro ha prodotto un ampliamento della base degli iscritti pur non smarrendo la sua vocazione professionale. Ecco perché, su certi elettori, proprio LinkedIn potrebbe giocare in questa campagna un ruolo decisivo, sempreché chi lo utilizza scelga dei contenuti e delle forme coerenti”.
Solo negli Usa, ci sono attualmente 220 milioni di utenti, di cui il 31% ha un’età compresa tra i 30 e i 39 anni e il 28% di iscritti, invece, ha un’età dai 50 ai 64 anni. “La forza di LinkedIn rispetto alle altre piattaforme è l’avere la più alta percentuale di decision maker, ovvero di utenti che hanno per il ruolo che ricoprono il potere di assumere delle decisioni strategiche”.
Eppure, c’è ancora un approccio molto timido da parte dei candidati, anche negli Stati Uniti. Donald Trump non ha un account, e la campagna di Kamala Harris ha aperto un profilo ‘istituzionale’ che finora ha pubblicato solo due post. Lo stesso vale per Tim Walz e JD Vance, che ha un suo account personale con oltre 4mila follower ma non ha mai pubblicato nulla. Qua e là spuntano profili dedicati a qualche campagna elettorale del passato, poi abbandonati. È una scelta saggia? Secondo Giordano, “il presidio di LinkedIn garantirebbe l’opportunità di influenzare un pubblico più strutturato, meno propenso ad accodarsi alle scie emotive e alle polarizzazioni morali che scorrazzano sulle nostre bacheche, e che ci restituisce in cambio la moneta preziosa della reputazione”.