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Iran bombarda l'Iraq, l'esperto: "Strategia tensione serve sia a Teheran che Tel Aviv"

"Raid su Erbil risposta a attentato Kerman, Teheran deve mobilitare sostenitori islam politico"

Una manifestazione per rendere omaggio al generale Soleimani
Una manifestazione per rendere omaggio al generale Soleimani
16 gennaio 2024 | 15.30
LETTURA: 2 minuti

Sia l'Iran che Israele, per motivi di "instabilità interna", traggono vantaggio da una "strategia della tensione" in Medio Oriente che cercano di "alzare sempre di più", ma stando bene attenti ad evitare uno scontro diretto. Lo afferma in un'intervista all'Adnkronos Pejman Abdolmohammadi, professore di Relazioni internazionali del Medio Oriente all'Università di Trento, commentando il raid condotto nella notte dai Guardiani della Rivoluzione che hanno rivendicato di aver colpito il "quartier generale del Mossad" a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Un raid che, secondo l'esperto, è anche "una risposta" all'attentato a Kerman.

Abdolmohammadi mette in evidenza come il raid su Erbil sia "semplicemente nel solco di quello che siamo abituati a vedere da un po' di anni ovvero che la sovranità degli Stati, con la scusa di colpire cellule terroristiche, non viene più rispettata". La Repubblica islamica, spiega, viola quella irachena, e altrettanto fa lo Stato ebraico in Siria e Libano. Per Teheran, ragiona il professore, colpire in Iraq ha un costo "relativamente basso" al netto delle dichiarazioni pubbliche di Baghdad, che ha anche richiamato il suo ambasciatore in Iran in segno di protesta. Se l'Iraq dovesse rispondere in un altro modo, "scoppierebbe la guerra nella regione", prosegue Abdolmohammadi, rimarcando come sia al governo Raisi che a quello Netanyahu "faccia bene" il fatto che la tensione nella regione continui a salire date le loro "situazioni interne molto instabili".

Per la Repubblica islamica, che finora era rimasta "silente" davanti alla strage di Kerman, il raid nel Kurdistan è "un segnale ai fedeli dell'Islam politico globale e, contemporaneamente, un tentativo di mobilitare quella piccola fetta di sostenitori interni in vista delle elezioni parlamentari di marzo". Teheran, precisa l'esperto, "ha bisogno di consenso" e, allo stesso tempo, di evitare una "guerra classica" con Israele. Per questo, almeno fino a marzo, continuerà ad utilizzare i suoi proxy per "mantenere il Medio Oriente instabile".

Secondo Abdolmohammadi, la Repubblica islamica - il cui vero "spauracchio" è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca - ha anche un altro obiettivo. Le fibrillazioni regionali, infatti, servono a "aiutare la Cina e a farle ottenere un guadagno geopolitico in Medio Oriente" dal momento che "la stabilità dell'area paradossalmente favorisce di più il fronte occidentale".

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