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Francia, Ue avanti con nomine: Le Pen avanza ma non sfonda

Le reazioni del ‘consensus’ bruxellese al voto in Francia divergono e come trattare, in Europa, l’ascesa dell’estrema destra è da tempo oggetto di discussione

Bandiera francese ed europea - (Afp)
Bandiera francese ed europea - (Afp)
01 luglio 2024 | 23.06
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L’Unione Europea reagisce con l'usuale understatement, ufficialmente, al risultato del primo turno delle elezioni legislative in Francia che, se attestano che il Rassemblement National è ampiamente il primo partito del Paese, confermano anche che l’estrema destra è lontana dalla maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale, il Parlamento francese. “Non commentiamo mai i risultati delle elezioni negli Stati membri”, si è limitato a dire il portavoce della Commissione Europea Eric Mamer. Occorre aspettare la sera del 7 luglio, ma se con le desistenze la ‘tagliola’ del doppio turno farà il suo lavoro, appare poco probabile, allo stato, che Jordan Bardella, il giovane figlio di immigrati italiani scelto da Marine Le Pen come ‘delfino’, possa arrivare a conquistare il governo del secondo Paese dell’Ue. Le buone notizie per l’Europa, tuttavia, finiscono qui.

Il presidente Emmanuel Macron, uno dei politici centrali dell’establishment Ue, esce indebolito dal voto da lui voluto all’indomani delle europee, anche se resta all'Eliseo (il suo secondo mandato termina nel 2027). Il voto ha confermato la larga impopolarità in Francia delle politiche centriste, allineate con il ‘consensus’ Ue. Un dato, questo, che era emerso con chiarezza già all’epoca della ‘jacquerie’ dei Gilets Jaunes. Il resto dell’arco politico francese, a sinistra del Rassemblement National, è profondamente diviso, tanto da rendere difficile, allo stato, immaginare un governo di centro-sinistra.

L’Ue, comunque, prosegue spedita con la nomina delle cariche apicali e del programma della maggioranza, ma le reazioni del ‘consensus’ bruxellese al voto in Francia divergono. C’è chi, come l’eurodeputato di Renew Europe Sandro Gozi, eletto Oltralpe, osserva che è comunque “una buona notizia” per l’Ue che all’Assemblea Nazionale esista una “maggioranza” di forze pro-europee, fatta eccezione per “alcuni” esponenti della France Insoumise di Jean-Luc Mélénchon.

C’è chi invece, come l’economista tedesco Daniel Gros, direttore del think tank bruxellese Ceps, osserva che la probabile instabilità politica che deriverà dalle elezioni non è una buona notizia per l’Unione, se non altro perché la Francia, che è un grande Paese dell’Ue, tenderà a non decidere e soprattutto a non agire sul fronte dei conti pubblici, perché comporterebbe dei costi politici. E’ un tema, quello delle finanze pubbliche, che preoccupa molto, tradizionalmente, la Germania. Parigi finirà sotto procedura per deficit eccessivo, come l’Italia e altri Paesi, e ha un debito pubblico pari ad oltre il 110% del Pil, destinato a salire quest’anno al 112,4% e l’anno venturo al 113,8%, secondo le stime della Commissione.

In assenza di azioni volte a raddrizzare i conti, il debito francese è destinato a salire, cosa che potrebbe preoccupare i mercati finanziari, e avere ripercussioni anche sui rendimenti dei titoli di Stato di altri Paesi, come l’Italia. Come trattare, in Europa, l’ascesa dell’estrema destra è da tempo oggetto di discussione: continuare con la conventio ad excludendum, oppure cercare di sfruttare le divisioni tra i diversi nazionalismi per cooptarne una parte? La dirigenza del Ppe sembra aver scelto questa seconda strada, tracciando tre linee rosse (dialoga con chi è pro Ue, pro Ucraina e pro Stato di diritto), che sia Manfred Weber che Ursula von der Leyen hanno indicato chiaramente.

Il Rassemblement National di Marine Le Pen non rispetta queste ‘linee rosse’, dato che in passato ha ricevuto finanziamenti bancari dalla Russia, anche se Jordan Bardella, come ricorda Gros, sull’Ucraina ha detto recentemente che, se andrà al governo, la sua Francia non permetterà alla Russia di “assorbire” il Paese vicino. Per chi aspira a governare un Paese membro della Nato (nonché l'unica potenza nucleare dell’Ue) sarebbe difficile dire il contrario. Le posizioni filorusse dell’Rn sono state per anni un grosso ostacolo al progetto di unire le destre europee in un unico gruppo, dato che il Pis polacco, forza di assoluto rilievo del campo nazionalista, è ferocemente antirusso, per ragioni storiche. Von der Leyen ha citato espressamente Le Pen tra le forze con cui non intende parlare, diversamente da Giorgia Meloni, che ha schierato Fratelli d’Italia a sostegno dell’Ucraina.

Per Daniel Gros, “alla lunga” la conventio ad excludendum non fa altro che portare consensi all’estrema destra e induce la pubblica opinione a interrogarsi sul funzionamento della democrazia, dato che il primo partito di Francia resta lontano dal governo (un tentativo di avvicinamento dei Républicains fatto da Eric Ciotti ha portato ad un’insurrezione nel partito gollista). Per l’economista tedesco, sarebbe meglio lasciar governare il Rassemblement National, “e poi vediamo se fanno come Meloni” oppure no. Francia o non Francia, l’Ue ha fretta di chiudere la partita delle nomine.

Lo stesso Macron, che aveva espresso pubblicamente dubbi sul principio dello Spitzenkandidat, ha rapidamente avallato la riconferma di Ursula von der Leyen. Se il 18 luglio a Strasburgo la tedesca nata a Ixelles riceverà almeno 361 voti, la presidenza della Commissione Europea, istituzione che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa Ue, per i prossimi cinque anni sarà messa al riparo. Nel Parlamento Europeo le destre hanno guadagnato terreno, ma in misura minore alle attese e senza compromettere la maggioranza centrista, dove il Ppe ha guadagnato terreno, i Socialisti hanno sostanzialmente tenuto, mentre i Liberali hanno perso una ventina di seggi.

I cambiamenti, nei prossimi cinque anni, potrebbero farsi sentire a livello di Consiglio Ue, l’istituzione che riunisce, nelle sue varie formazioni, i ministri dei Paesi membri e che è colegislatore dell’Ue. E’ lì che si ‘scaricheranno’ i cambiamenti politici che potrebbero avvenire a livello nazionale. Un governo del Rassemblement National in Francia, che è il secondo Paese dell’Ue, cambierebbe decisamente gli equilibri nel Consiglio e renderebbe probabilmente più difficoltoso il lavoro legislativo. Sulla carta, Italia, Francia, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia insieme possono bloccare qualsiasi voto a maggioranza qualificata.

In Austria per ora governano i Popolari, con il cancelliere Karl Nehammer, ma le europee hanno attestato che l’Fpoe è il primo partito. E a fine settembre in quel Paese si vota. Il primo settembre andranno alle urne anche due importanti Laender tedeschi, Sassonia e Turingia: in Germania l’Afd è arrivata seconda alle europee, ampiamente sotto la Cdu/Csu ma sopra ciascuno dei tre partiti della coalizione semaforo, a partire dall’Spd di Olaf Scholz, che ha registrato la peggior performance della sua storia. E a novembre ci saranno le presidenziali Usa, dove un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non sembra affatto improbabile, dopo la performance del presidente in carica Joe Biden, classe 1942. Tutti ottimi motivi per chiudere in fretta la partita delle cariche apicali Ue.

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