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Per Bellanova ancora non disinnescata grana Almaviva

Parla il legale dei lavoratori di Roma: "Procedimento fermo dal 2017"

(Fotogramma)
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06 settembre 2019 | 19.37
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Grana giudiziaria non del tutto disinnescata per Teresa Bellanova, ex viceministro dello Sviluppo economico ed oggi alla guida del dicastero dell'Agricoltura. Sul neo ministro infatti pende ancora una denuncia penale per "delitto di estorsione ai sensi dell'art. 629 del codice penale, perlomeno nella forma tentata", formulata nel 2017 dallo studio legale Panici-Guglielmi in rappresentanza di 150 lavoratori di Almaviva Roma licenziati al termine di una drammatica trattativa al Mise.

Una vertenza che si era aperta dopo la denuncia di oltre 1660 esuberi nella sede romana da parte dell'azienda a cui aveva fatto seguito una sorta di accordo raggiunto nella notte del 2 giugno 2017 che prevedeva un taglio del salario di circa il 17% bloccando sia gli scatti di anzianità che il Tfr prevedendo controlli a distanza in deroga allo stesso Jobs Act. Una ipotesi di "mediazione" rifiutata dalle Rsu di Almaviva Roma che aprì la porta ai licenziamenti.

Di lì poco, come spiega l'avvocato Carlo Guglielmi all'Adnkronos, un gruppo di lavoratori, oltre 150, presentarono una denuncia alla procura per concorso in tentata estorsione: "per noi si configurava il reato di estorsione considerato che il licenziamento era previsto solo per quei lavoratori che non avessero accettato il taglio delle retribuzioni, già al limite della sopravvivenza, e la cancellazione del Tfr. E la cosa straordinaria che questo non è successo nel chiuso di una stanzetta aziendale ma al ministero".

La denuncia depositata non è mai andata avanti al contrario di quella civile, indirizzata alla sola Almaviva, in cui i lavoratori chiedevano l'annullamento del licenziamento ed il reintegro in azienda che ha conosciuto sorti alterne. Una prima sentenza, come spiega il legale, ha accolto le ragioni circa l'estorsività dell'accordo e riabilitato i lavoratori mentre una seconda sentenza ha confermato la reintegra ma non la tentata estorsione. La Corte d'Appello invece ha azzerato tutto non riconoscendo nessuna delle ragioni addotte dai lavoratori. Sarà ora la Cassazione a dove dire dunque la parola finale sulla vicenda. I tempi non si conoscono.

"Purtroppo il tribunale di Roma, sia civile che penale, in modo straordinariamente massiccio ha decretato che l'interesse alla conservazione dell'impresa fosse più rilevante di uno stipendio dignitoso", commenta ancora Guglielmi.

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