L'ex presidente della Bce presenta a Bruxelles il suo rapporto sul 'futuro della competitività europea': "Basta rinviare, bisogna agire"
Se vuole aumentare la propria produttività, e quindi, nel lungo periodo, preservare il proprio modello sociale, l'Ue deve "cambiare radicalmente", perché "siamo già in modalità crisi. Non riconoscerlo significa ignorare la realtà". E' l'allarme dell'ex presidente della Bce e del Consiglio Mario Draghi, che presenta a Bruxelles, insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il suo rapporto sul futuro della competitività europea, composto da due documenti, uno riassuntivo di una sessantina di pagine e l'altro approfondito, di oltre 300 pagine.
"Questo rapporto - dice Draghi - arriva in un momento difficile per il nostro continente. Dobbiamo abbandonare l’illusione che solo rimandando si possa preservare il consenso. In realtà, la procrastinazione ha solo prodotto una crescita più lenta. E di certo non ha prodotto alcun consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza agire, dovremo sacrificare il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà". "Perché la strategia delineata in questo rapporto abbia successo - aggiunge Draghi - dobbiamo iniziare una valutazione comune della nostra posizione, degli obiettivi a cui vogliamo dare priorità, dei rischi che vogliamo evitare e dei compromessi che siamo disposti a fare. Dobbiamo garantire che le nostre istituzioni, democraticamente elette, siano al centro di questi dibattiti. Le riforme possono essere veramente ambiziose e sostenibili solo se godono del sostegno democratico", avverte infine.
"Se l’Europa non potrà diventare più produttiva - avverte - saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Questa è una sfida esistenziale".
"I valori fondamentali dell’Europa - aggiunge - sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non sarà più in grado di fornirli ai suoi cittadini, o se dovrà barattare l’uno con l’altro, avrà perso la sua ragion d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttiva è che l’Europa cambi radicalmente", afferma.
Se non vogliono continuare ad arretrare in un contesto internazionale in rapida evoluzione, l'Unione Europea e i suoi Stati membri devono "agire" e smetterla di "procrastinare", di rinviare le decisioni che devono essere prese, nell'"illusione" di preservare in questo modo il "consenso" degli elettori. L'Unione Europea deve agire per riformarsi, se non vuole spegnersi in una "lenta agonia". "Non è così - risponde a chi gli chiede se il messaggio sia "fate questo o morirete" - è piuttosto: fatelo, o sarà una lenta agonia".
Per Draghi, "dobbiamo assumere una nuova posizione nei confronti della cooperazione: rimuovendo gli ostacoli, armonizzando regole e leggi e coordinando le politiche. Ci sono diversi ambiti in cui possiamo procedere. Ma quello che non possiamo fare è non andare avanti affatto". "La nostra fiducia che riusciremo ad andare avanti - aggiunge - dovrebbe essere forte. Mai in passato la dimensione dei nostri Paesi è apparsa così piccola e inadeguata rispetto alla portata delle sfide. Da molto tempo l’autoconservazione non era un problema simile, che riguarda tutti. Le ragioni per una risposta unitaria non sono mai state così convincenti. Nella nostra unità troveremo la forza per riformare", conclude.
Draghi sottolinea quindi che "la maggior parte delle proposte" contenute nel rapporto "sono concepite per essere attuate rapidamente, per fare una differenza tangibile per le prospettive dell'Europa".
L’Unione Europea, dice Draghi, dovrà affrontare nei prossimi anni investimenti in una misura "senza precedenti" nella sua storia recente. "L'Ue sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro diminuirà di quasi 2 milioni di lavoratori ogni anno. Dovremo puntare maggiormente sulla produttività per stimolare la crescita. Se l’Ue dovesse mantenere il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente mantenere il Pil costante fino al 2050, in un momento in cui l’Ue si trova ad affrontare una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita più elevata".
"Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa - aggiunge - la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del Pil, fino a raggiungere livelli visti l'ultima volta negli anni '60 e '70. Si tratta di un dato senza precedenti: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi previsti dal piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano a circa l’1-2% del Pil annuo", conclude.
L'Unione Europea e i suoi Stati membri comprimono lo sviluppo delle imprese innovative con normative "incoerenti" e "restrittive", con il risultato che i pochi 'unicorni' che nascono in Europa vanno a crescere negli Usa. "Poiché le imprese dell’Ue sono specializzate in tecnologie mature in cui il potenziale di scoperta è limitato - ricorda - spendono meno in ricerca e innovazione: 270 miliardi di euro in meno rispetto alle loro controparti statunitensi nel 2021. La classifica dei principali investitori in R&I in Europa è stata dominata da aziende automobilistiche negli ultimi vent'anni".
"Era così anche negli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000 - aggiunge - con il settore automobilistico e quello farmaceutico in testa, ma ora i primi 3 sono tutti nel settore tecnologico. Il problema non è che all’Europa manchino idee o ambizioni. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurre l’innovazione in commercializzazione, e le aziende innovative che vogliono espandersi in Europa sono ostacolate, in ogni fase, da normative incoerenti e restrittive".
"Di conseguenza, molti imprenditori europei preferiscono cercare finanziamenti da venture capitalist statunitensi ed espandersi nel mercato Usa. Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli 'unicorni' fondati in Europa, startup che in seguito sarebbero state valutate oltre 1 miliardo di dollari, hanno trasferito la propria sede all’estero. E la stragrande maggioranza si è trasferita negli Stati Uniti", conclude.
Draghi sottolinea che l'Unione Europea dovrebbe prevedere forme di "finanziamento congiunto" per i "beni collettivi europei fondamentali", magari emettendo "safe asset" europei (titoli obbligazionari a basso rischio), dato che i soli capitali privati non potranno coprire il cospicuo fabbisogno di investimenti che il Vecchio Continente avrà nei prossimi anni. "Mentre l’Europa deve avanzare con l'Unione dei mercati dei capitali - dice Draghi - il settore privato non sarà in grado di sostenere la parte del leone nel finanziamento degli investimenti, senza il sostegno del settore pubblico. Inoltre, quanto più l’Ue sarà disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, tanto più aumenterà lo spazio fiscale e tanto più facile sarà per il settore pubblico fornire questo sostegno". "Questa relazione - prosegue - evidenzia perché aumentare la produttività è fondamentale. Ha anche implicazioni per l’emissione di safe asset comuni. Per massimizzare la produttività, saranno necessari finanziamenti congiunti per gli investimenti in beni collettivi europei fondamentali, come l’innovazione di frontiera. Allo stesso tempo, ci sono altri beni collettivi identificati in questo rapporto - aggiunge - come gli appalti per la difesa o le reti transfrontaliere, che senza un’azione comune saranno disponibili in misura insufficiente. Se ci fossero le condizioni politiche e istituzionali, anche questi progetti richiederebbero un finanziamento comune", conclude.