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E' morto Alberto Franceschini, tra i fondatori delle Brigate Rosse

A confermarlo è l'avvocato Davide Steccanella all'Adnkronos

Alberto Franceschini (Fotogramma/Ipa)
Alberto Franceschini (Fotogramma/Ipa)
26 aprile 2025 | 20.18
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E' morto Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse. A confermarlo è l'avvocato Davide Steccanella all'Adnkronos. La scomparsa è avvenuta l'11 aprile scorso. La notizia è stata diffusa solo oggi.

"L'ho saputo ora, mi hanno scritto dei suoi colleghi. Mi dispiace. Non sapevo stesse male" ha detto all'Adnkronos l'avvocato Ambra Giovene che in passato lo ha difeso. "È stata un'esperienza lontana, ma molto coinvolgente. Ero assai giovane e fu un incontro in cui non si sottrasse a un dialogo sulla sua esperienza di vita".

L'ex terrorista, 78 anni, fondatore insieme a Renato Curcio e Mara Cagol delle Brigate rosse, è morto l'11 aprile scorso ma la notizia è stata confermata solo oggi. Franceschini è stato condannato a oltre sessant'anni di carcere per duplice omicidio, costituzione di banda armata, costituzione di associazione sovversiva, sequestro di persona, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria, ma la sua pena è stata poi ridotta. Tra le azioni terroristiche di Franceschini si ricordano in particolare il sequestro del giudice genovese Mario Sossi e l'omicidio di due esponenti del Movimento Sociale Italiano avvenuto a Padova nel 1974, per cui è stato condannato.

L'esponente di spicco delle Br è nato a Reggio Emilia il 25 ottobre 1947 da una famiglia di tradizione comunista e partigiana. Nel 1969 rompe con la Fgci partecipando a una manifestazione contro le basi Nato e costituisce con altri reggiani il 'Gruppo dell’appartamento'. Renitente alla leva, si trasferisce a Milano dove frequenta il Cpm di via Curtatone e dopo l’esperienza di Sinistra Proletaria e il convegno di Costaferrata (frazione di Pecorile), fonda, nel settembre del 1970, le Brigate Rosse insieme a Curcio e Cagol, con la quale compie la prima azione di guerriglia, incendiando, il 17 settembre in via Moretto da Brescia, l’autorimessa dell’ing. Giuseppe Leoni, direttore del personale della Sit Siemens. Sua l’arma che si vede puntata al viso del capo reparto Idalgo Macchiarini nel sequestro lampo di due anni dopo, che ebbe notevole risonanza mediatica per la fotografia con la scritta "colpiscine uno per educarne 100!" Ed è sempre lui, due anni dopo ancora, a gestire i giorni del sequestro del giudice genovese Mario Sossi del 1974.

Arrestato insieme a Curcio l’8 settembre del 1974, sarà per anni uno dei brigatisti più attivi nelle carceri speciali, facendosi promotore del processo guerriglia a Torino, della rivolta dell’Asinara del 1979, e contribuendo a scrivere 'L’ape e il comunista', che determina la prima spaccatura interna contro la dirigenza Moretti, cui seguiranno 'L’albero del peccato' e 'Gocce di sole nella città degli spettri'. Sempre dal carcere, aderisce al Partito Guerriglia di Senzani dopo la scissione di quest'ultimo dalle Br di Moretti, e sarà uno dei maggiori fautori della caccia all'infame che comporterà alcune brutali esecuzioni di militanti accusati di delazione, minacciando personalmente di morte anche Toni Negri nel cortile del carcere di Palmi, accusandolo di cercare patti con l’autorità giudiziaria, e il 7 dicembre del 1983 inizia al carcere di Nuoro, insieme ad altri detenuti politici, uno strenuo sciopero della fame contro le limitazioni dell’art. 90 (una sorta di 41 bis ante litteram).

Poi di colpo tutto cambia con l’approvazione della legge sulla dissociazione del 17 febbraio del 1987. Solo quattro giorni dopo, il 21 febbraio del 1987, è uno dei primi a sottoscrivere a Rebibbia l’impegno che rende pubblico nel suo libro, e meno di un anno dopo, il 14 gennaio 1988, ottiene la semi-libertà. Il 29 giugno 1992, dopo 4 anni di lavoro alla cooperativa Ora d’aria, il Tribunale di Cagliari dichiara estinta la sua pena, ma il 29 ottobre viene riarrestato dalla Procura Generale di Venezia, che, sulla base di un diverso 'conteggio', ritiene che debba ancora scontare 8 anni per la condanna quale concorrente morale per il duplice omicidio a Padova di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci del 17 giugno 1974.

A quel punto, scattano varie interpellanze parlamentari, Franceschini minaccia lo sciopero della fame, interviene a suo favore anche il parlamentare comunista Ugo Pecchioli, e il 9 novembre 1992 la Corte di Assise di Venezia conferma il provvedimento di Cagliari e Alberto Franceschini viene definitivamente scarcerato dopo 18 anni di reclusione. Le ultime notizie lo davano presente l'anno scorso a Milano alla commemorazione di Alexei Navalny il dissidente russo morto in carcere in Siberia.

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