La Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici punta a cercare di raggiungere un accordo tra tutti i Paesi per limitare il riscaldamento globale e i suoi impatti
Parte in salita, tra speranze, obiettivi importanti ma soprattutto polemiche, la Cop28, la Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che punta a cercare di raggiungere un accordo tra tutti i Paesi per limitare il riscaldamento globale e i suoi impatti.
Giunta per l’appunto alla ventottesima ‘edizione’, quest'anno la Conferenza si svolge da oggi e fino al 12 dicembre a Expo City a Dubai: due settimane dense di appuntamenti, dibattiti, grandi ambizioni e controversie. Sono 198 le parti in campo (197 Stati più l’Unione Europea) - quasi tutto il consesso internazionale - e 70mila i delegati, i ministri e gli alti funzionari attesi. Tra essi, il re Carlo III, il primo ministro britannico Rishi Sunak, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Papa (in collegamento).
Numeri che danno un’idea di quanto possa essere difficile trovare un compromesso e arrivare a un accordo che tenga conto delle posizioni, delle opinioni e delle necessità di tutti. Ovviamente la Cop 28 è l’ultimo atto di una serie di negoziati ed avvicinamenti che si sono avuti nei mesi scorsi, tra cui quello tra il leader cinese Xin Jinping e Biden: un incontro che apre alla possibilità di un dialogo tra due dei Paesi che inquinano di più e da cui molto, moltissimo dipende per la riuscita della Conferenza. I due leader tuttavia non parteciperanno, pur inviando rappresentanti di alto livello.
L’obiettivo della Conferenza di Dubai è quello di stringere un accordo per ridurre con urgenza le emissioni di gas serra in modo da (provare a) contenere l’innalzamento della temperatura del Pianeta a +1,5° C rispetto ai livelli preindustriali.
Tutto questo, nell’anno più caldo di sempre, il 2023: l’anno dei record continuamente superati o, per dirla con le parole del capo dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) Petteri Taalas, "un'assordante cacofonia di record infranti". "I livelli di gas serra sono da record. Le temperature globali sono da record. L'innalzamento del livello del mare è da record. Il ghiaccio marino antartico è a livelli record", ha sottolineato Taalas.
L'Omm ha pubblicato un rapporto preliminare in occasione della Cop28 dal quale, pur mancando i dati di novembre e dicembre, il 2023 risulta già l’anno più caldo: fino a ottobre compreso, la temperatura media globale è stata di 1,4° C superiore alla media preindustriale (1850-1900). Secondo uno studio dell’Onu, le temperature sono avviate verso la crescita di 2,4° C in questo secolo.
Occorre dunque accelerare i tempi e aumentare la portata degli impegni presi, a cui ovviamente devono seguire fatti concreti. A tal proposito, la Cop28 prevede una ‘Action Agenda’ creata proprio per portare il mondo dalla fase dell'accordo a quella dell'azione.
Sono tre i macro-temi principali della COP28:
La riduzione dell’uso dei combustibili fossili, come detto, è l’obiettivo principale della conferenza: si punta a ‘portare a casa’ negoziati che stabiliscano tempi e modi della transizione energetica, dunque quando e come abbandonare le fonti fossili per passare a fonti energetiche non inquinanti. Si tratta di una proposta che pare in aperta contraddizione con il luogo stesso dove si svolge la Conferenza - gli EAU sono tra i maggiori produttori di petrolio al mondo - e che probabilmente sarà osteggiata dai Paesi in via di sviluppo, che vorrebbero poter sfruttare i combustibili fossili per far crescere la propria economia come hanno fatto i Paesi più sviluppati.
Per capire ‘a che punto siamo’ nella lotta al riscaldamento globale, occorre partire dall'Accordo sul clima di Parigi del 2015, che prevedeva l’impegno a contenere l’aumento delle temperature al massimo a +2° C alla fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali ma con l’intenzione, sulla carta, di mirare a +1,5° C. Gli Accordi prevedevano anche che ogni cinque anni si controllassero i progressi compiuti in tale ambito e gli effetti delle iniziative concretamente intraprese. Si tratta del ‘Global Stocktake’, o ‘Bilancio globale’ (GST).
A Dubai si concluderà il primo di questi controlli, che ha visto il coinvolgimento della comunità scientifica oltre che di numerose istituzioni e società private di tutto il mondo. Le conclusioni del GST dicono che quanto fatto finora non è sufficiente, dunque nei prossimi due anni i governi dovranno rivedere ‘al rialzo’ le proprie promesse di riduzione delle emissioni. Una luce tuttavia viene dal World Energy Outlook 2023, l’analisi annuale realizzata dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) sul sistema energetico globale e sui suoi cambiamenti economici e strutturali: secondo il report, mantenere le emissioni sotto a +1,5 ° C è sempre più difficile ma ancora possibile.
Terzo tema è il fondo Loss&Damage per ‘risarcire’ gli Stati più soggetti all’impatto del riscaldamento globale. Il fondo, istituito dalla precedente Cop tenutasi a Sharm el-Sheik, si basa sul principio della compensazione, dato che la responsabilità del riscaldamento globale non è di tutti allo stesso modo: alla sbarra ci sono soprattutto i Paesi sviluppati, che per motivi storici inquinano da più tempo (e continuano a farlo). Quindi il concetto è quello di una responsabilità comune ma differenziata tra i Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.
Sostanzialmente i Paesi in via di sviluppo ‘accusano’ i Paesi occidentali di essersi arricchiti inquinando e vogliono per se stessi ora la stessa opportunità. L’india, ad esempio, secondo l’agenzia di stampa Reuters, potrebbe chiedere che siano i Paesi sviluppati a impegnarsi maggiormente nella riduzione delle proprie emissioni di gas serra: in questo modo, i Paesi in via di sviluppo potranno continuare a produrne di più e per più tempo.
Per essere ancora più chiaro, il sottosegretario agli Esteri indiano Vinay Mohan Kwatra, prima della partenza del premier Narendra Modi per Dubai, ha detto che il carbone resterà la fonte principale di energia per l'India.
In ogni caso, la bozza del fondo Loss&Damage parte già zoppicando: non prevede obblighi né cifre precise e ne affida la gestione alla Banca Mondiale, criticata dai Paesi in via di sviluppo perché avvantaggerebbe quelli più ricchi.
Una delle principali polemiche che riguardano la Cop28 è lo Stato che la ospita: gli Emirati Arabi Uniti sono tra i più grandi produttori di petrolio. Come se non bastasse, il presidente della Conferenza è Sultan Al Jaber, che allo stesso tempo è a capo della compagnia petrolifera di bandiera degli Emirati (la ADNOC, Abu Dhabi National Oil Company). Ci sono tutti gli elementi per gridare al conflitto di interessi, e infatti in questi mesi si è molto dibattuto sull’opportunità di affidare la Cop a uno Stato – e a un presidente - che ha tutt’altri obiettivi rispetto alla transizione energetica. Polemiche rinfocolate dalla Bbc che ha visionato documenti riservati ma trapelati, secondo i quali gli Emirati starebbero usando l'evento per fare accordi con 15 Paesi nel settore del gas e del petrolio, mentre il focus della conferenza sarebbe appunto come diminuirne l’uso.
Tra i documenti, alcuni "punti di discussione" come quello riguardante la Cina, con cui Adnoc "è disponibile a valutare congiuntamente le opportunità internazionali sul Gnl" in Mozambico, Canada e Australia, e quelli che suggeriscono di dire a un ministro colombiano che Adnoc "è pronto" a sostenere Bogotà per sviluppare le sue risorse di combustibili fossili, mentre altri riguardano 13 Paesi, tra cui Germania ed Egitto.
Le accuse sono state prontamente contestate dal presidente della Cop28 in una conferenza stampa (alla quale la Bbc non è stata invitata): “Sono false, non sono corrette né accurate". "Pensate che gli Emirati o io abbiamo bisogno della Cop o della presidenza della Cop per andare a stabilire accordi commerciali o relazioni commerciali?", ha sostenuto Sultan Al Jaber. "Questo Paese negli ultimi 50 anni è stato costruito intorno alla sua capacità di costruire ponti e di creare relazioni e partnership", ha rivendicato infine, assicurando che "ogni incontro che ho condotto con ogni governo o qualsiasi altro stakeholder è sempre stato incentrato su una cosa e una cosa sola: questa è la mia agenda Cop28 e come possiamo collettivamente per la prima volta in assoluto adottare una mentalità incentrata sull’attuazione e l’azione per raggiungere l'obiettivo di mantenere l'innalzamento della temperatura a 1,5 gradi".
“Penso che otterremo il risultato senza precedenti che tutti noi auspichiamo, quello di rimettere in carreggiata e garantire che il mondo accetti una tabella di marcia verso il 2030 che manterrà un aumento della temperatura al di sopra dei livelli preindustriali di 1,5 gradi", ha anche detto al Guardian.
Osservando le cose da un altro punto di vista, può anche essere una strategia considerare come interlocutori quelli che sembrano ‘nemici’. Silvia Francescon, esperta di politica per il think tank italiano Ecco, ha commentato: “E’ necessario dialogare anche con queste realtà. Si tratta di interlocutori necessari per arrivare a un negoziato realmente rappresentativo”.
Prevarrà l’istinto di sopravvivenza o il conflitto d’interesse? Gli Emirati Arabi Uniti devono comunque fare i conti col fatto di essere uno dei Paesi più vulnerabili agli impatti del riscaldamento globale, a causa del loro clima molto caldo e umido. Già tra il 1990 e il 2022, la temperatura media annua dell'aria superficiale negli EAU è aumentata di 1,27° C, esponendo il Paese al rischio di tempeste di sabbia, siccità, innalzamento del mare.
In effetti, secondo la Climate & Clean Air Coalition, gli Emirati Arabi Uniti stanno compiendo degli sforzi per ridurre le emissioni, ad esempio promuovendo l’agricoltura biologica e idroponica, costruendo l’Etihad Rail – che togliendo le macchine dalla strada dovrebbe consentire una grossa riduzione delle emissioni inquinanti - e in generale riducendo gli sprechi.
Non solo: gli EAU, primo governo mediorientale ad agire in tal senso, si sono impegnati a ridurre le emissioni di carbonio a net zero entro il 2050, E sono stati anche il primo Paese nella regione a firmare gli Accordi di Parigi del 2015.
Cosa possiamo aspettarci dalla Cop28? Ne abbiamo parlato con Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, in occasione dell’evento 'Le nuove sfide della sostenibilità', a cura di Eikon Italia in collaborazione con il Gruppo Adnkronos e tenutosi al Palazzo dell’Informazione a Roma. "Le aspettative sono alte purtroppo, però, vediamo che le tensioni internazionali rendono molto difficile raggiungere degli accordi", ha detto Giovannini.
"Una buona notizia è stato l'incontro tra Xi Jinping e Biden sul tema dell'accelerazione verso la lotta al cambiamento climatico - ha osservato - Bisogna capire se i Paesi in via di sviluppo e i Paesi sviluppati riusciranno a trovare dei punti di accordo, perché anche in questo campo ci sono state tante promesse da parte dei Paesi sviluppati che poi non sono diventate realtà. Quindi ci sono forti tensioni, non è detto che si riesca a trovare un accordo vantaggioso per tutti".
"In questa Cop ogni Paese deve aggiornare i propri impegni. Al momento le analisi che sono state fatte mostrano che non riusciremo a fermare l'aumento della temperatura entro 1,5°C; forse, durante la Cop ci saranno impegni ulteriori dei governi per andare in questa direzione, lo scopriremo. Per l'Italia io mi aspetterei un impegno forte per il fondo per il clima", conclude.
L’Italia sarà presente alla Cop28 ma con un ‘quasi primato’ che non promette benissimo: secondo la classifica mondiale di Oil Change International, siamo in seconda posizione per finanziamento di progetti fossili con sussidi pubblici, dopo gli Stati Uniti d’America. Nel dettaglio, da gennaio 2023 a oggi lo Stato ha distribuito in tal senso oltre 1,12 miliardi di euro. Una linea d'azione in contraddizione con gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi e in discussione alla Cop 28.
In ogni caso, l’1 e il 2 dicembre la premier Meloni sarà a Dubai, con la mission di confermare l’impegno italiano a intensificare gli sforzi per il contrasto ai cambiamenti climatici e a sostegno del continente africano, al quale l'Italia destinerà gran parte del suo Fondo per il clima.
La presidente del Consiglio prenderà parte alla sessione ad alto livello del summit, che vedrà la più alta partecipazione di capi di Stato e di governo mai registrata in una Cop (circa 150 i leader attesi): numeri che certificano il successo diplomatico del presidente emiratino Mohammed bin Zayed Al Nahyan.
L'1 dicembre Meloni parteciperà all'apertura dei lavori, poi prenderà la parola nell'ambito di due eventi: uno dedicato ai sistemi alimentari e un altro sull'adattamento ai cambiamenti climatici.
Critica l’opposizione: “Per noi giustizia climatica e giustizia sociale stanno insieme. Non si possono ridurre le diseguaglianze senza contrastare l'emergenza climatica. Chi paga il più alto il prezzo dell’emergenza climatica sono quelle persone che non possono scegliere dove vivere e che aria respirare”, ha detto Elly Schlein al seminario 'Conversione ecologica dell'economia e della società', riguardo i provvedimenti promossi dal Partito Democratico nel primo anno di legislatura e in previsione della Cop28 di Dubai.
“Parlo costantemente con collegi europei che sono stupefatti che in Italia non si parli di cambiamento climatico quando tanti sono gli eventi estremi che si sono verificati nel nostro Paese”, ha osservato la segretaria dem, che ha aggiunto: “Le tecnologie per le Rinnovabili sono già mature ma questo governo è nemico delle rinnovabili”.
Polemiche, difficoltà e speranze, ma il punto fondamentale, la sintesi, tracciata dal segretario Generale Onu Antonio Guterres in un video messaggio ai delegati riuniti per la Cop28, è che l'umanità è in "guai seri". "Stiamo vivendo il collasso climatico in tempo reale – ha sottolineato - e l'impatto è devastante. Quest'anno le comunità di tutto il mondo sono state colpite da incendi, inondazioni e temperature roventi. Il riscaldamento globale record dovrebbe far venire i brividi ai leader mondiali. E dovrebbe spingerli ad agire".
Gli occhi del mondo dunque sono tutti puntati su Dubai.