Solo 636 progetti finanziati a fronte di 50.744 edifici pubblici interessati. Assegnato solo 30% delle risorse stanziate nel 2015 dal 'Collegato ambiente'
Ad oggi, solo il 30% delle risorse stanziate nel 2015 dal cosiddetto 'Collegato ambiente' per la bonifica degli edifici pubblici contaminati da amianto, sono stati effettivamente assegnati. Una elaborazione di Centro Studi Enti Locali (Csel), per l'Adnkronos, basata sui dati emersi dalle graduatorie consultabili sul sito del ministero della Transizione ecologica (Mite) mostrano come in questi anni siano stati complessivamente assegnati 3.777.351 euro, a fronte degli oltre 12 milioni stanziati a questo scopo. Oltre 8 milioni, dunque, sono rimasti fuori, per carenza di richieste.
"In un momento in cui tutti sembrano concordi sul fatto che sia fondamentale dar vita a una radicale 'transizione ecologica', colpisce vedere che una concreta opportunità offerta alle pubbliche amministrazioni per liberarsi di questo materiale fibroso, la cui pericolosità è ormai conclamata da 30 anni, abbia avuto una popolarità così scarsa, avverte Csel.
Analizzando la risposta delle pubbliche amministrazioni, emerge l'interesse molto limitato riscosso dagli avvisi attuativi del 'Collegato ambiente'. Gli avvisi, infatti, hanno portato all’assegnazione di 1.318.113 euro per 242 interventi nel 2017, 853.223 per 140 interventi nel 2019, 417.345 euro per 63 interventi nel 2021 e 1.188.670 euro per 191 interventi nell’ultima graduatoria, pubblicata lo scorso febbraio. Solo 636, dunque, i progetti globalmente finanziati, a fronte di 50.744 edifici pubblici che sarebbero, stando all’ultimo rapporto di Legambiente, riferisce Csel, interessati dalla presenza di amianto.
E' stato l'articolo 56, comma 7, della legge 221 del 2015 (cosiddetto 'Collegato ambiente' ) a istituire un Fondo con una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di euro per il 2016 e 6,018 milioni per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Obiettivo: coprire, integralmente o parzialmente, i costi di progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto, anche mediante copertura dei corrispettivi da porre a base di gara per l’affidamento dei lavori, fino a un massimo di quindicimila euro.
I criteri di priorità individuati dal governo vedono al primo posto gli interventi relativi a edifici pubblici collocati all’interno, nei pressi o comunque entro un raggio non superiore a 100 metri da asili, scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, impianti sportivi.
In seconda battuta, quelli relativi a edifici pubblici per i quali esistono segnalazioni da parte di enti di controllo sanitario e/o di tutela ambientale e/o di altri enti e amministrazioni in merito alla presenza di amianto. Seguono gli interventi per i quali si prevede un progetto cantierabile in 12 mesi dall’erogazione del contributo e quelli che riguardano edifici collocati all’interno di un sito di interesse nazionale e/o inseriti nella mappatura dell’amianto ai sensi del decreto ministeriale n.101 del 18 marzo 2003.
Sulla assoluta urgenza di procedere velocemente a rimuovere l'amianto, in passato ampiamente utilizzato come isolante o materiale di rinforzo, la comunità scientifica è concorde da decenni. Tanto che il suo impiego fu messo al bando con la legge 257 del 1992.
“La presenza delle fibre di amianto nell’ambiente - si legge in un documento redatto dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute e riportato da Csel - comporta inevitabilmente dei danni a carico della salute, anche in presenza di pochi elementi fibrosi. È un agente cancerogeno. Particolarmente nocivo per la salute è il fibrocemento (meglio conosciuto come ‘eternit’), una mistura di amianto e cemento particolarmente friabile e quindi soggetta a danneggiamento o frantumazione. I rischi maggiori sono legati alla presenza delle fibre nell’aria. Una volta inalate, le fibre si possono depositare all’interno delle vie aeree e sulle cellule polmonari. Le fibre che si sono depositate nelle parti più profonde del polmone possono rimanere nei polmoni per diversi anni, anche per tutta la vita. La presenza di queste fibre estranee all’interno dei polmoni può comportare l’insorgenza di malattie come l’asbestosi, il mesotelioma ed il tumore dei polmoni”.
Una pericolosità che è emersa con tutta la sua forza nel corso dell’emergenza pandemica. In un comunicato diramato nell’aprile dello scorso anno, l’Osservatorio nazionale Amianto, riferisce Csel, definì il 2020 “l’anno horribilis per coloro che sono stati esposti ad amianto, per via della pandemia Covid-19, che ha inciso su questi soggetti fragili”. L’Osservatorio stimò un numero di decessi nel 2020 pari a 7.000 persone solo in Italia, prevedendo un picco di mesoteliomi e di altre patologie asbesto correlate tra il 2025 e il 2030 e poi una lenta decrescita.
Uno dei grandi problemi, che limitano anche le possibilità di intervento da parte dell’esecutivo sul tema amianto, è la grande incertezza che aleggia ad oggi sui numeri dei siti contaminati
I dati emersi dalla mappatura prevista dalle legge 257/92 e finanziata da un decreto ministeriale del 2003, ha portato all’individuazione di circa 108mila siti interessati dalla presenza di amianto sul territorio nazionale. Il dicastero stesso reputa, però, questi numeri non esaustivi.
“La Banca Dati Amianto - si legge in un documento del Mite sullo stato di attuazione del Piano nazionale amianto riportato da Csel - non consente una copertura omogenea del territorio nazionale. Inoltre, i dati raccolti necessitano di ulteriori verifiche in quanto le Regioni hanno utilizzato nella raccolta dei dati criteri non omogenei”. Basti pensare che circa il 55% dei siti censiti è riconducibile a due sole regioni: Piemonte e Marche. Uno scenario chiaramente irrealistico - osserva Csel - che denota la non completa attendibilità del quadro ad oggi delineato dall’Inail e dal ministero della Transizione ecologica sulla base delle informazioni trasmesse dalle Regioni.