La mancata fusione con Gucci il suo rimpianto più grande: "Saremmo stati il primo gruppo in Italia"
C’è un momento che più di tutti sta a cuore a Santo Versace: lui e suo fratello Gianni che ‘conquistano’ il palazzo di via del Gesù 12, a Milano. Un edificio leggendario appartenuto fino a quel momento alla famiglia Rizzoli e appetito da molti. Comprato a tappe nel giro di qualche anno fino all’ultima firma, nel 1986. È il simbolo dell’ascesa della famiglia Versace: madre sarta, padre imprenditore. Reggio Calabria come punto di partenza: "Una città di mare, aperta, che ci ha dato molto. Ma per la nostra formazione sono stati fondamentali i nostri genitori, amavano la vita e aiutavano sempre il prossimo", spiega a La Ragione sottolineando che "sul suo omicidio molta gente ha ricamato sopra dicendo falsità".
Santo Versace, il più grande di quattro fratelli, segue le orme del padre. Ha nel sangue lo spirito dell’imprenditore, ma prima lavora in banca, poi fa l’insegnante, quindi parte come ufficiale di cavalleria e infine apre uno studio di commercialista. Poi, nel 1978, segue il fratello Gianni a Milano: "Da piccolo aveva già convinto mia madre ad aprire quattro o cinque boutique. Faceva tutto lui: era compratore, direttore, commesso, gestiva la sartoria. Il suo sogno non era solo quello di lavorare nella moda, ma di fare la moda. Il suo primo contratto lo preparai io: m’informai su quanto prendeva Walter Albini – lo stilista più quotato in quel momento – e chiesi la stessa cifra. Accettarono", spiega Santo Versace.
Quell’anno, era il 1978, nasce il marchio Gianni Versace. È l’inizio di un’epopea: la moda che si fa arte, le sfilate internazionali, le top model leggendarie. Poi il sogno infranto: la mattina del 15 luglio 1997, sulla scalinata della sua villa in Ocean Drive a Miami Beach, Gianni viene ucciso a colpi di pistola dal pluriomicida Andrew Cunanan. Santo Versace ha provato a esorcizzare i demoni di quel giorno scrivendoci un libro ('Fratelli. Una famiglia italiana', uscito nel 2022): "È servito a liberarmi dei traumi che mi portavo dietro, delle tragedie trascorse. Dalla morte dell’altra mia sorella, Tinuccia, a quella di Gianni. Adesso sono tornato quello che ero prima del 15 luglio 1997".
Quanta sofferenza, però, prima di recuperare l’equilibrio: "Gli anni successivi alla morte di mio fratello sono stati difficilissimi. Sul suo omicidio molta gente ha ricamato sopra dicendo falsità. La morte di Gianni mi ha cambiato, certo. Ma ha anche danneggiato Milano – che con Versace e Armani dominava il mondo – e l’economia italiana: avevamo in programma la fusione con Gucci che ci avrebbe reso il primo gruppo tricolore capace di competere con il primo al mondo. Quella mancata fusione è il rimpianto più grande della mia vita", racconta a La Ragione.
Ottant’anni a dicembre, Santo Versace si è messo alle spalle i tumulti del passato e guarda al futuro: "Vendere il marchio Gianni Versace? È stato doloroso, certo. Però per me la moda è esistita veramente come amore fino a quel 15 luglio, poi è stato un lavoro. Sono rimasto alla guida per difendere l’azienda, affinché non si disperdesse il patrimonio di Gianni Versace creativo e della Gianni Versace». Dopo la cessione del marchio, Santo è ora socio della casa di produzione cinematografica Minerva Pictures e ha fondato con la moglie Francesca De Stefano la Fondazione Santo Versace, ente filantropico che sostiene i più fragili: "Aiutiamo le altre fondazioni che riteniamo virtuose, finanziamo borse di studio, supportiamo i detenuti, aiutiamo le donne vittime della tratta e centinaia di bambini", conclude Santo Versace.