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Omicidio Willy, Marco Bianchi dal carcere: "Ho toccato il fondo ma combatterò per la verità"

In una lettera di 7 pagine all'Adnkronos dal carcere uno dei 4 imputati si racconta a pochi giorni dal verdetto.

Uno stralcio della lettera di Marco Bianchi
Uno stralcio della lettera di Marco Bianchi
28 giugno 2022 | 12.47
LETTURA: 6 minuti

"Ho toccato il fondo. Ecco la vostra soddisfazione. E' una cosa che non auguro a nessuno, la sensazione di essere da soli, al buio. Sono andato giù, ma oggi ho deciso di rialzarmi e combattere per la verità e per la vita". La lettera, lunghissima, che Marco Bianchi scrive all'Adnkronos dal carcere di Viterbo dove è recluso con l'accusa di aver ucciso Willy Monteiro Duarte insieme a suo fratello Gabriele e agli amici Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, è rivolta al pubblico "influenzato", a suo dire, fin dall'inizio dalla descrizione che di loro è stata fatta dai media e che, sottolinea più volte, avrebbe guidato l'iter processuale. Per lui e suo fratello il pubblico ministero ha chiesto l'ergastolo, per gli altri due 24 anni di reclusione. In vista della sentenza, attesa per il prossimo 4 luglio in Corte d'Assise a Frosinone, Marco Bianchi parla, accusa i giornalisti e si rivolge alla madre del ragazzo massacrato di botte la notte tra il 5 e 6 settembre 2020 a Colleferro.

"Io e Gabriele siamo ragazzi di cuore, sinceri - scrive in stampatello e in un italiano incerto - Tutte quelle cattiverie che hanno detto contro di noi non sono vere, sono state solo bugie su bugie per farci toccare il fondo. Siamo stati descritti sin dall'inizio, senza conoscere gli atti del processo, come mostri e assassini. Dai giornali e dai social è stata usata una nostra foto per dimostrare che eravamo due ragazzi che pensavano solo a fare la bella vita. Ho avuto la forza di guardarmi allo specchio, di essere fiero di quello che sono e di combattere per la mia innocenza. Io e mio fratello non ci siamo mai nascosti su nulla, non abbiamo mai chiesto aiuto, non siamo mai stati protetti, sempre soli e divisi. Abbiamo sempre affrontato tutti i problemi per far capire la realtà delle cose, perché noi siamo così: disponibili, educati e rispettosi, sempre pronti ad aiutare i più deboli".

"I problemi li abbiamo avuti a causa dei giornalisti che hanno perso il controllo, raccontando falsità su falsità. Come quella bellissima donna di Barbara D'Urso, che è madre di un figlio e non si rende conto prima di fare le puntate su di noi. Dentro sa benissimo il danno che può creare dicendo bugie sul nostro nome. Lei dormiva serena, io no, sapendo la guerra che avrei affrontato l'indomani in carcere per le bugie raccontate. Posso capire che è il vostro lavoro - incalza Marco Bianchi all'Adnkronos , riferendosi genericamente ai giornalisti - ma almeno siate umani e umili nel dire la verità, perché tutti siamo figli, tutti siamo genitori e disgrazie come questa possono accadere a chiunque. Solo che qui, oltre alla disgrazia, c'é anche la beffa che il colpevole non si è preso le proprie responsabilità. Ancora con il sangue sulle scarpe, se ne sta tranquillo in casa sua" scrive riferendosi a Belleggia, unico imputato ad oggi ai domiciliari.

"Sia io che Gabriele continueremo sempre, da uomini veri, a dire che non c'entriamo nulla con questo crimine - ribadisce - Non siamo degli psicopatici che negano davanti all'evidenza e prima o poi la verità uscirà fuori. C'è una grande differenza tra farsi la galera da colpevoli e farsela da innocenti. E quando tutto questo finirà, se ci sarà la possibilità di incontrarmi un giorno, rimarrete a bocca aperta - scrive tornando a rivolgersi al pubblico astratto dei media - stupiti, capendo che non siamo le brutte persone descritte dai media: quel ragazzo non è morto per mano nostra. L'ho messo in chiaro in aula, davanti al giudice, guardando in faccia la povera madre di Willy".

Ed è da qui, a metà della lettera di sette pagine affidata all'Adnkronos, che Marco Bianchi inizia a scrivere rivolgendosi esclusivamente a Lucia Monteiro. "Signora mia - si legge - ogni volta che ho la possibilità di guardarla, vedo il dolore e l'odio che può provare per chi le ha portato via suo figlio. E' lo stesso sentimento che leggo negli occhi di mia madre, che è morta dentro e prova rancore per il vero colpevole, il bugiardo che ha rinchiuso i suoi figli in carcere al suo posto, per un crimine che non hanno commesso. Signora, io la guarderei come guardo mia madre. Se io e mio fratello fossimo gli artefici della morte di suo figlio, mai ci saremmo permessi di sostenere il suo sguardo come abbiamo fatto durante il processo, di guardarla come se guardassimo nostra madre. Non ci saremo mai permessi di negare le nostre responsabilità per tornare liberi: io, personalmente, mi sarei sentito sporco e infame".

"Signora mia, se fossimo noi i veri responsabili di tutto questo, le avrei dato subito la soddisfazione che stavamo pagando la giusta pena - continua Marco Bianchi - Parlo per me, ma anche per mio fratello che è in carcere senza aver toccato Willy con un dito. Io la verità l'ho detta subito, a suo figlio ha dato una spinta e un calcio per allontanarlo dal mio amico Omar (Shabani, sentito in aula come testimone, ndr), ma l'ho colpito al fianco, vero è che non ha nemmeno fatto in tempo a cadere che si è subito rialzato. Non mi sarei mai permesso di infierire con le responsabilità che derivano dallo sport che sia io che mio fratello praticavamo. A noi la Mma ha insegnato ad essere uomini, ad avere il controllo di noi stessi e ad essere sempre lucidi nelle azioni che commettiamo. Lo sport non ci ha insegnato certo ad essere assassini, al contrario ad essere responsabili, ad avere il pieno controllo della nostra forza".

"Ecco ciò che siamo, signora mia, in 25 anni di vita abbiamo sempre avuto le idee chiare. Non ci siamo mai drogati, siamo stati sempre lucidi per non commettere sciocchezze, per non rovinarci la vita. Spero al più presto che scoprirà la verità - continua nella lettera all'Adnkronos - per poter avere la meritata soddisfazione di poter dire a suo figlio di averlo difeso, di aver assicurato i responsabili della sua morte alla giustizia. Ma non siamo noi. Non siamo quei ragazzi che le stanno facendo credere, siamo semplici ragazzi di famiglia e di cuore, che se sbagliano si assumono le proprie responsabilità. La paura più grande, che non ci dà pace - conclude scrivedo anche in nome di suo fratello Gabriele - è quella di farci la galera per un fatto mediatico, non perché colpevoli. Prima o poi la verità uscirà fuori e spero sia dimostrata l'innocenza mia e di mio fratello, perché possa ritornare lui dalla sua famiglia e io crearmene una. Confido nella giustizia, la verità verrà fuori. Si sono inventati di tutto su di noi e mi spiace ma noi i problemi in carcere non li abbiamo mai avuti - aggiunge - Sono sempre andato in sezione con i comuni. Sulle falsità ci rido su, tra le tante quella che mi sputavano nei piatti senza sapere che ero io a portare il vitto. C'é chi ha la coscienza sporca. E non siamo io e mio fratello".

(di Silvia Mancinelli)

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