La Santa Sede rinuncia all'estradizione per la manager arrestata lo scorso ottobre nell'indagine sull'ex numero 2 della Segreteria di Stato, cardinale Angelo Becciu: concessa la libertà provvisoria
Cecilia Marogna verso il rinvio a giudizio. I magistrati vaticani, a quanto apprende l’Adnkronos, ritengono di aver acquisito elementi di prova più che sufficienti per processare la manager cagliaritana divenuta nota come ‘dama del cardinale’ per il rapporto fiduciario che la legava all’ex sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede Angelo Becciu. Ed è questo il motivo per il quale l’Ufficio del promotore di giustizia della Santa Sede ha chiesto alla Corte d’Appello di Milano "il non luogo a provvedere" sulla richiesta di estradizione per la Marogna, concedendole la libertà provvisoria. Con la Marogna a rischiare il processo potrebbe essere anche lo stesso cardinale Becciu, indagato in Vaticano per offesa al re, peculato, abuso d'ufficio e interesse privato, in relazione a diverse vicende, compreso il caso Marogna.
In particolare, i magistrati vaticani ritengono necessario consentire alla donna di esercitare pienamente i diritti di difesa, anche attraverso la sua presenza fisica al processo che, a questo punto, si potrebbe aprire a breve. Tanto più che, sempre a quanto apprende l’Adnkronos, Cecilia Marogna avrebbe rifiutato di farsi interrogare come richiesto dall’Ufficio del promotore attraverso una commissione rogatoria. La manager, convocata a dicembre scorso presso il Tribunale di Cagliari, non si sarebbe presentata, facendo sapere tramite i suoi difensori di non aver interesse all’interrogatorio. Circostanza questa che ha spinto l’Ufficio del promotore di giustizia, che ha già acquisito elementi di prova ritenuti più che sufficienti per promuovere il dibattimento, a richiedere al Tribunale Vaticano la fissazione dell’udienza per il processo per peculato e appropriazione aggravata.
L’accusa in particolare le contesta di essersi appropriata di 575mila euro affidati dalla Segreteria di Stato alla Logsic - società con sede a Lubiana da lei interamente controllata -, utilizzandoli per acquisti voluttuari e beni di lusso, che nulla avrebbero avuto a che fare con il suo incarico. E le contesta di aver agito da pubblico ufficiale proprio in virtù dell’incarico ricevuto dalla Santa Sede. In particolare, a quanto ricostruito dai magistrati vaticani grazie agli accertamenti bancari, i conti correnti della Logsic Doo sarebbero stati alimentati da nove bonifici emessi dalla Segreteria di Stato per 575.000 e finiti in spese non compatibili con l’oggetto sociale della società.
(di Mia Grassi e Elena Davolio)
Il Vaticano ha chiesto quindi "il non luogo a provvedere" sulla richiesta di estradizione. E' quanto ha comunicato il ministero della Giustizia ai giudici di Milano che sono chiamati a decidere sul caso. Il Vaticano rinuncia all'estrazione e "concede la libertà provvisoria".
Il giudice istruttore - che rappresenta l'autorità giudiziaria della Città del Vaticano - ha disposto la libertà provvisoria per Cecilia Marogna "essendo venuto meno il vincolo che ha portato al presupposto" della richiesta di estradizione. E' quanto emerge nel provvedimento letto in aula a Milano (l'udienza si svolge a porte chiuse) dai giudici della quinta sezione penale d’appello (presidente del collegio Franco Matacchioni) che si sono riservati sulla questione, benché il fatto che "il Vaticano ha ritirato la domanda" porti ad ipotizzare che si deciderà per il "non luogo a provvedere".
Se il rappresentante dell'accusa ha preso atto del dietrofront del Vaticano, dopo la decisione della Cassazione di scarcerare la manager arrestata il il 13 ottobre 2020 a Milano con le accuse di appropriazione indebita aggravata e peculato, la difesa rappresentata dagli avvocati Fabio Federico e Maria Cristina Zanni ha chiesto ai giudici dell'appello di discutere nel merito "visto che solo stamane è stato comunicato il provvedimento del giudice istruttore e visto che nessuno ha avuto il coraggio di prendersi la responsabilità e dire che il presupposto era infondato visto che non c'è nessun accordo sull'estradizione" tra i due Stati. Sulla richiesta che non venga concessa l'estradizione per difetto, i giudici si sono riservati non dando indicazioni sui tempi della decisione.
"E una fuga senza onore" quella della giustizia della Città del Vaticano che ha deciso di rinunciare alla richiesta di estradizione contro Marogna. Così la definisce l'avvocato Fabio Federico che insieme alla collega Maria Cristina Zanni difende la 40enne dall'accusa di appropriazione indebita aggravata e peculato. Al termine del l'udienza di oggi, davanti ai giudici della corte d'appello di Milano che si sono riservati sul tema, i difensori sottolineano come la loro cliente "sia rimasta in carcere 17 giorni su un mandato di cattura senza presupposto di legge e solo stamane, circa un'ora prima dell'udienza, c'è stata la comunicazione ai giudici della richiesta di non luogo a procedere ma senza ammettere l'errore. Nessuno si è preso la responsabilità di dire che il presupposto era sbagliato", conclude Federico.
"In data 13 gennaio 2021, il Giudice istruttore del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, accogliendo l’istanza formulata dall’Ufficio del Promotore di Giustizia, ha revocato la misura cautelare a suo tempo disposta nei confronti di Cecilia Marogna, a carico della quale è di imminente celebrazione il giudizio per un’ipotesi di peculato commesso in concorso con altri". Lo fa sapere il Vaticano in una nota a proposito della manager. "L’iniziativa - ragguaglia la nota - intende, tra l’altro, consentire all’imputata - che ha già rifiutato di difendersi disertando l’interrogatorio dinanzi all’Autorità giudiziaria italiana, richiesto in via rogatoriale dal Promotore di Giustizia – di partecipare al processo in Vaticano, libera dalla pendenza di misura cautelare nei suoi confronti".
“ Che peccato! Siamo profondamente dispiaciuti che, per la retromarcia dell’ultima ora dei Promotori di Giustizia e del Giudice Istruttore del Vaticano, non abbiamo potuto ottenere piena giustizia con una sentenza che avrebbe riconosciuto l’infondatezza e l’arbitrarietà delle loro precedenti insistite richieste di far incarcerare la madre di una bambina di dieci anni”. Lo sottolineano in una nota i difensori di Cecilia Marogna, Maria Cristina Zanni, Massimo Dinoia e Fabio Federico. “Dobbiamo purtroppo prendere atto, - annotano i difensori della manager ribattezzata la ‘dama di Becciu’ nei confronti della quale i magistrati vaticani hanno rinunciato alla richiesta di estradizione - con grande dispiacere, che, dopo tre mesi di sofferenze della signora Marogna e dei suoi familiari, dopo che le Autorità giudiziarie italiane avevano ripetutamente affermato l’ingiustizia della sua carcerazione preventiva e delle altre misure contro di lei, quando ormai si era alla resa dei conti, quando cioè era giunto il momento che la Corte d’Appello di Milano negasse l’estradizione, alla fine il Giudice Istruttore ed i Promotori di Giustizia del Vaticano si sono arresi”. “Certo, - osservano - è stata una resa senza onore: anziché riconoscere i loro errori, hanno revocato il mandato di cattura, sottraendosi al confronto con noi e al giudizio della Corte".
"Altrettanto certo - aggiungono gli avvocati - è che la revoca non sia intervenuta – come vorrebbe far credere il comunicato odierno dei Promotori di Giustizia – per consentire alla signora Marogna di partecipare libera al processo in Vaticano, perché altrimenti l’infondato mandato di cattura non lo avrebbero emesso fin dall’inizio né avrebbero alimentato per tre mesi, con quattro diverse istanze, le loro pretestuose richieste di arresto e di estradizione”.
La difesa di Cecilia Marogna giudica “paradossale che ora tentino, addirittura, di far ricadere su Marogna la causa della loro retromarcia, per non essersi fatta interrogare a Cagliari. Infatti, come ha affermato il ministro di Giustizia in questa vicenda e come ha ribadito il Tribunale di Roma in un’altra vicenda, non esiste alcun accordo di assistenza giudiziaria fra l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, quindi i Promotori di Giustizia non avevano alcun diritto di chiedere quell’interrogatorio e la signora Marogna aveva il sacrosanto diritto di scegliere di difendersi nella sede istituzionale, che era appunto la Corte d’Appello di Milano, da dove però loro si sono sfilati”.