Al 54esimo Congresso Sin
Problemi motori, del linguaggio e difficoltà a deglutire. Sono questi i campanelli d'allarme della sclerosi laterale amiotrofica (Sla), grave malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla graduale perdita dei motoneuroni, che porta "a disabilità significative e ancora oggi è considerata a prognosi infausta, fino alla morte. Nonostante le ricerche in corso, le opzioni di trattamento sono ancora limitate, sottolineando la necessità di una comprensione più profonda dei complessi meccanismi della malattia e dell'identificazione di nuovi bersagli terapeutici". Lo ha detto Valeria Sansone, professore ordinario Università di Milano, Centro clinico Nemo Milano, in occasione del 54esimo congresso nazionale della Società italiana di neurologia (Sin) a Roma.
"Sono stati compiuti progressi significativi nel perfezionamento dei criteri diagnostici e nell'identificazione dei biomarcatori, portando a diagnosi più precoci e più precise - spiega Sansone - Sebbene la presa in carico olistica e gli attuali trattamenti farmacologici offrano alcuni benefici, c'è una chiara necessità di terapie più efficaci. Le mutazioni genetiche sono state identificate come fattori che contribuiscono alla Sla, con mutazioni nella superossido dismutasi 1 (Sod1), che neutralizza la specie reattiva dell'ossigeno dannosa superossido, che rappresenta circa il 2% di tutti i casi di Sla".
"Per contrastare l'aumento di funzioni tossiche causate dalle mutazioni di Sod1 - evidenzia la neurologa - le strategie terapeutiche volte a sopprimere l'espressione genica di Sod1 si sono dimostrate promettenti. L'oligonucleotide antisenso (Aso) è un filamento di Rna, sintetizzato artificialmente, che si lega all'mRna prodotto dal gene Sod1, rappresentando un approccio terapeutico di nuova generazione. Nel 2023 il tofersen è diventato il primo farmaco Aso approvato dalla Fda per la Sla, nel febbraio del 2024 ha ottenuto parere favorevole di Chmp di Ema e in Italia è disponibile l'accesso anticipato al farmaco somministrato per via intratecale". Tofersen, sottolinea Sansone, "si lega specificamente all'mRna Sod1, inibendo la produzione della proteina Sod1 tossica, rallentando così il decorso neurodegenerativo di molti pazienti e parallelamente riducendo i neurofilamenti a catena leggera, biomarcatori della Sla e di altre forme neurodegenerative, in quanto espressione di danno neuronale. L'efficacia e la sicurezza a lungo termine di tofersen richiedono un'ulteriore convalida e lo sviluppo di protocolli di trattamento più ottimizzati è essenziale. Una serie di studi e sviluppi terapeutici relativi alle mutazioni della Sod1 hanno fatto progredire la comprensione della fisiopatologia della Sla e hanno contribuito in modo significativo alle strategie di trattamento dei disturbi del sistema nervoso centrale".
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Anche nel campo delle distrofie muscolari, e in particolare della "distrofia muscolare di Duchenne - prosegue la specialista - vi sono nuovi approcci promettenti per rallentare la progressione di questa patologia, ad esordio infantile, e caratterizzata da ipotrofia e debolezza dei muscoli scheletrici, respiratori e del miocardio, in modo progressivo ed invalidante".
"Da inizio agosto 2024 - ricorda Sansone - in Italia è possibile, in un programma di uso compassionevole, proporre ai bambini dai 6 anni in su, e deambulanti, givinostat, un inibitore delle istone deacetilasi (Hdac), enzimi che svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell'espressione genica e quindi in grado di intervenire su processi di crescita cellulari e sulla apoptosi, la morte cellulare programmata. Migliorando i meccanismi di riparazione delle fibre muscolari, e quindi riducendo l'infiammazione e la fibrosi, ci si attende che givinostat rallenti l'evoluzione della patologia e soprattutto procrastini la perdita della deambulazione, a cui si associa solitamente quindi anche perdita graduale della funzione degli arti superiori e il peggioramento della capacità respiratoria e cardiovascolare".
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