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Il nuovo libro di Riccardo Cristiano: "Ecco perché Beirut è il futuro del mosaico arabo"

Parla l'autore 50 anni dopo la guerra civile libanese: "In un campo di macerie unico, si dovrebbe guardare alla possibilità di unità nella pluralità"

Il nuovo libro di Riccardo Cristiano:
11 aprile 2025 | 12.19
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Nessuno si salva da solo. E allora si dovrebbe guardare un po' più alla "possibilità di unità nella pluralità" di fronte a un "campo di macerie unico" in Medio Oriente. Senza dimenticare che "tornare indietro aiuta ad andare avanti". 'Beirut. Il futuro del mosaico arabo', è il nuovo libro di Riccardo Cristiano, da oggi in libreria in cui l'autore accompagna per mano il lettore, dopo 'Beirut, Libano. Tra assassini, missionari e Grand Cafés', nella storia di una città ferita, proprio a 50 anni dall'inizio della terribile guerra civile (1975-1990). Cristiano, giornalista e vaticanista, esperto di Medio Oriente, invita a non tenere viva solo "la memoria di quel terribile evento, ma anche la storia che si è svolta intorno a quell'evento". E, dice in un'intervista all'Adnkronos, "nel Novecento Beirut è stata più volte distrutta sempre da estremismi che la combattevano come città".

"E' successo nella guerra civile dove i falangisti hanno combattuto anche contro lo spirito del centro di Beirut, devastato, uscito distrutto dalla guerra, completamente in macerie, mentre gli altri quartieri, i quartieri confessionali sono stati danneggiati - ricorda - E questo ci dice che gli estremismi hanno cominciato a combattere Beirut come città cosmopolita, per la sua struttura di città promiscua, con uno stile un po' orientale e un po' occidentale". Una 'guerra' che è continuata negli anni successivi.

Il pensiero di Cristiano corre alla Strage di San Valentino del 2005, quando venne ucciso l'ex premier libanese Rafiq Hariri. E poi alla devastante esplosione dell'agosto 2020 nel porto di Beirut. "Hezbollah non ha solo ucciso l'uomo che ha ricostruito il centro di Beirut, ma ha anche provocato l'esplosione nel porto che ha devastato diversi quartieri attigui". "Quasi come dire che la guerra tra il Novecento e Beirut non è ancora finita", osserva, di fronte a "una fila di macerie in quella sezione di mondo". Dalla guerra in Iraq del 2003 a quella del 2011 in Siria, dove l'esplosone di proteste antigovernative all'epoca del regime di Bashar al-Assad sfocia presto in un lungo e sanguinoso conflitto a causa della repressione delle manifestazioni. "Le ultime guerre distruggono Beirut - incalza Cristiano - e tutta questa catena di macerie ci dice che c'è un'unità di distruzione". Ci mette di fronte a "un campo di macerie unico al di là dei confini, con Beirut che a tutti parla con un linguaggio che possono capire, quello secondo me del dire 'torniamo all'Ottocento'".

L'Ottocento, insiste Cristiano, è "il secolo che ha fatto di Beirut una metropoli portuale, un epicentro dell'Impero ottomano nel commercio con l'Europa". L'autore cita l'intellettuale beirutino Samir Kassir, che la definisce "città araba, mediterranea, occidentalizzata". E se "questo incontro con l'Europa nel Novecento è andato male, tornare indietro aiuta ad andare avanti, a non pensare a una frammentazione, a un ordine comunitario, ma a un ordine complessivo che ricomponga il mosaico". Per questo, è convinto, "occorre parlare di territori, non di comunità" perché "sui territori ci sono tante comunità che insieme possono costruire i legami necessari per ricreare quello spirito cosmopolita di cui parla Beirut ferita nel Novecento, ma che nell'Ottocento è stata fiorente". Offrendo "un'alternativa" ai sistemi nel mondo arabo, "sia panarabista che panislamista".

E la "storia dell'Ottocento può servire a chiudere il capitolo del triste del Novecento e a costruirne uno nuovo, diverso da questo" attuale in un mondo arabo in cui a Cristiano "sembra che potrebbero esistere delle macroaree", dagli "arabi del Golfo agli arabi del Nordafrica", all'interno delle quali "ci sono competizioni, come tra sauditi ed emiratini" e anche "destabilizzazione totale e perdita di senso" come "a sud dell'Anatolia".

Secondo Cristiano, il Libano, la Siria del dopo-Assad guidata da Ahmed Al-Sharaa (leader di Hayat Tahrir al-Sham che ha posto fine al regime assadista) e l'Iraq sono tre Stati che devono "ritrovare ciascuno il proprio senso, cercandolo insieme" perché "questa catena di conflitti e distruzioni sembra dire che quell'area è un'area che si riprende se sceglie l'unità nella pluralità, una forma simile a quella europea", non costruire uno stato unico, "ma una forma confederale che superi la visione militare". Bisognerebbe cercare "un equilibrio comune che rispetti tutte le diversità", cercare "una prospettiva di pace" e "questa prospettiva è quella che indica a tutti Beirut". Andare, ripete, "verso il dialogo, lo scambio, il meticciato, il Mediterraneo" perché "Iraq, Siria e Libano non possono salvarsi da soli, ma possono salvarsi insieme rispettando le sovranità, le differenze su un modello europeo". E "c'è bisogno di una leadership, di una cultura politica, anche di una spinta da parte delle comunità religiose, che - conclude - invece di chiudersi dovrebbero aprirsi alla ricerca del dialogo con le altre comunità".

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