In un'intervista a Bari Weiss, il consigliere ombra di Trump svela la strategia e le mosse della prossima amministrazione
Nell’epoca delle polarizzazioni politiche e delle identità contrapposte, il miliardario venture capitalist Peter Thiel ha sempre occupato un ruolo unico: quello di outsider tra gli outsider, re delle contraddizioni. Nato in Germania ed emigrato negli Usa con i suoi genitori “nel 1968, quando il Paese si stava autodistruggendo” oggi è a favore di una stretta anti-immigrazione. È stato il primo gay dichiarato a parlare dal palco di una convention repubblicana. Si professa campione della libertà di stampa e allo stesso tempo è responsabile della bancarotta del sito di gossip Gawker, reo di aver rivelato il suo orientamento sessuale. Membro dell’aristocrazia della Silicon Valley e della “Paypal Mafia”, è diventato un aedo dell’America rurale, e nel 2022 ha investito 15 milioni di dollari nell’elezione di JD Vance al Senato. Presidente di Palantir, società di AI fondamentale nelle guerre moderne, parteggia per un movimento che vuole cancellare la proiezione internazionale degli Stati Uniti.
Soprattutto, se Musk è il consigliere sempre al fianco di Donald Trump nelle occasioni pubbliche, Thiel è l’uomo che si muove nell’ombra. Un faro su quest’ombra lo ha puntato Bari Weiss, giornalista americana di 40 anni che nel 2020 ha lasciato il “New York Times” in protesta contro l’eccessiva ‘wokeness’ del quotidiano, per fondare “The Free Press” con la moglie Nellie Bowles. Weiss conduce un podcast, “Honestly”, in cui ha chiesto a Thiel la sua visione sull'elezione di Trump e su come si possono conciliare dazi al 60% e globalizzazione, l’annunciata deportazione di milioni di migranti e crescita economica.
Thiel interpreta la vittoria di Trump come un segnale del crollo dei liberal americani. "Non è solo colpa di Biden o Harris", ha affermato, "ma di un intero sistema ideologico che non ha più nulla da offrire in termini di idee o sostanza”. Thiel sostiene che il 2024 non è paragonabile al 2016, quando Trump "forse aveva avuto fortuna" contro Hillary Clinton. Questa volta, l’ex presidente ha battuto un Partito Democratico che ha investito tutto e ha fallito, nonostante miliardi di dollari a disposizione e una pioggia di cause e processi penali contro Trump.
Per Thiel, la vittoria di Trump segna anche la fine di un’era in cui il potere culturale di Hollywood e delle élite liberal dominava incontrastato. "Celebrity non significa più quello che significava negli anni ’90", ha spiegato, criticando l’assenza di pensiero individuale tra le star progressiste e nelle università americane. In netto contrasto, Thiel vede Trump come il simbolo di una contro-élite che "pensa fuori dagli schemi" e sfida un sistema sempre più dogmatico.
Un altro tema cardine dell’intervista è stata l’implosione dell’identity politics, una strategia che Thiel considera ormai controproducente. Legare la propria proposta politica all’identità (etnica, sessuale, culturale) “aliena più persone di quante ne attragga", ha detto, indicando l’incapacità di Kamala Harris di rappresentare un’alternativa credibile. "Forse il momento in cui l’identity politics ha funzionato veramente è stato nel 2008 con Obama, ma da allora internet ha cambiato tutto: non puoi più raccontare messaggi diversi a gruppi diversi”.
Secondo Thiel, scegliere Harris è stato un errore prevedibile, dettato più dalla mancanza di opzioni valide che da una vera convinzione nella sua leadership. "Il Partito Democratico sembra incapace di riflettere e reinventarsi", ha aggiunto, paragonando il declino della sinistra americana a un lento ma inevitabile collasso.
Cosa pensa della proposta di Trump di introdurre dazi del 20% su tutte le importazioni e del 60% sui prodotti cinesi? Per Thiel, alla fine l’amministrazione Trump non sarà così netta, ma i dazi sono un passo nella direzione giusta per riequilibrare il commercio globale. "Il sistema attuale premia settori come Wall Street e Silicon Valley, ma danneggia le regioni manifatturiere del Midwest, che sono state essenziali per il successo dei Repubblicani”. In effetti sono regioni che era riuscito a strappare ai democratici nel 2016, ma nel 2020 Biden riuscì a convincere di essere in grado di proteggere meglio.
Thiel sostiene che la politica dei dazi non è solo una questione economica, ma anche geopolitica: "Spostare la produzione dalla Cina al Vietnam o all’India potrebbe fare qualche danno ai consumatori americani ma sarebbe un durissimo colpo al nostro principale rivale strategico”.
Sul tema dell’immigrazione, Thiel ha offerto una prospettiva sfumata. Pur essendo egli stesso un immigrato, ha criticato il sistema attuale per aver creato enormi squilibri economici, specialmente nel mercato immobiliare. "L’apertura incontrollata delle frontiere ha gonfiato i prezzi degli affitti e trasferito ricchezza dai giovani ai proprietari immobiliari". Ha anche sottolineato il problema delle scuole pubbliche sovraccariche, che riflette una mancanza di pianificazione a lungo termine. Il fondatore di Palantir ha messo in guardia contro soluzioni drastiche, come la deportazione di massa di 11 milioni di immigrati. "Ciò di cui abbiamo bisogno è una politica migratoria che tenga conto sia delle dinamiche economiche che delle pressioni sociali”.
Un altro pilastro della critica di Thiel è il sistema educativo americano, che descrive come "gonfio e inefficiente”. Ha appoggiato l’idea di Trump di ridimensionare il Dipartimento dell’Istruzione e riformare il sistema di finanziamento delle università. "Il debito studentesco è fuori controllo: molte università continuano a prosperare mentre gli studenti non riescono nemmeno a ripagare gli interessi sui loro prestiti", ha detto, proponendo di ridurre i finanziamenti alle università che non offrono un valore tangibile ai loro studenti. Il venture capitalist ha un fondo che incoraggia gli studenti più svegli ad abbandonare il college, ma allo stesso tempo ha riconosciuto l’importanza delle università Ivy League americane negli anni scorsi. “Pur essendo marce e corrotte, quelle università selezionano i più intelligenti. Il declino politico si vede anche lì: i democratici sono passati da Bill e Hillary Clinton (Yale Law) e Obama (Harvard) a Biden (University of Delaware), Harris (UC Hastings Law School) e Walz (Minnesota State)”.
Thiel ha ammesso che il secondo mandato di Trump non sarà privo di sfide. Dalla crisi del confine meridionale alla crescente tensione con Cina, Russia e Iran, i problemi internazionali e domestici richiederanno soluzioni più incisive rispetto al passato. "Spero che Trump sia all’altezza", ha detto, pur riconoscendo le difficoltà di governare un Paese che sembra "avviato verso l’Armageddon”. Concludendo l’intervista, Thiel ha riaffermato la sua convinzione che la vittoria di Trump rappresenti non solo una rinascita politica, ma anche un’occasione per riconsiderare le fondamenta culturali ed economiche degli Stati Uniti. "La vera domanda", ha detto, "è se saremo capaci di sfruttare questa opportunità o se continueremo a ripetere gli errori del passato”.