
L'ex ambasciatore a Pechino: "Tra le parti atmosfera strutturale di sfiducia, prevalgono questioni immagine"
Tra Stati Uniti e Cina continua l'escalation di rappresaglie e contro rappresaglie sui dazi, una guerra senza esclusione di colpi di cui non si riesce a intravedere una conclusione nel breve periodo, conclusione che "dovrà permettere a Xi Jinping di salvare la faccia e a Donald Trump di dichiarare una sorta di vittoria". L'idea potrebbe essere quella di un tavolo allargato che preveda trattative non solo sulle tariffe ma anche su temi come la tecnologia, il rapporto con la Russia e Taiwan. Ettore Sequi, ex ambasciatore a Pechino ed ex segretario generale della Farnesina, commenta così con l'Adnkronos le ultime schermaglie tra Pechino e Washington, che evidenziano "un'atmosfera strutturale di sfiducia" tra le parti, "in cui prevalgono questione di immagine".
Da una parte, spiega Sequi, "Trump crede che una forte pressione costringerà Pechino a capitolare e questo aumento della tensione, secondo lui, è la prova che questo approccio sta funzionando". Dall'altro lato, Xi, sostiene l'ex ambasciatore a Pechino, "pensa invece che se dovesse mostrarsi dialogante, difficilmente avrebbero una tregua sui dazi". Per l'uno e l'altro, dunque "c'è il problema di non mostrarsi troppo deboli e accondiscendenti, con Trump convinto che stia stringendo i cinesi sempre più nell'angolo, e Xi intenzionato a non cedere e a guadagnare tempo". Perché la sua preoccupazione, sottolinea Sequi, è che la crescita del Pil cinese non scenda sotto al 4,5%, una cifra grazie alla quale è ancora possibile creare posti di lavoro sufficienti per i giovani che si affacciano sul mercato.
Senza contare che "la retorica nazionalista cinese, alimentata dalla propaganda, rende difficile fare una marcia indietro senza compromettere Xi, mentre l'adulazione personale di Trump nei confronti del leader cinese non può funzionare se Xi viene messo in difficoltà dai dazi continui", ragiona l'ex ambasciatore.
Come se ne esce? "Per salvare la faccia di Xi e permettere al presidente americano di dichiarare una sorta di vittoria - è l'opinione di Sequi - Stati Uniti e Cina dovrebbero sedersi intorno a un tavolo, con Pechino che dovrebbe avere a disposizione una serie di strumenti per giocare non solo in difesa". In sostanza, per usare il gergo di Trump, "i cinesi vorrebbero sedersi al tavolo avendo buone carte, intese come possibilità di trattare non solo sui dazi, ma anche sui suoi rapporti con la Russia, sulla tecnologia e, cosa più importante, su Taiwan". In questo caso, "Xi potrebbe anche fare delle rinunce sul fronte commerciale, qualora riuscisse a ottenere un miglioramento semantico nella narrativa americana sull'isola", spiega l'ex ambasciatore a Pechino, secondo cui dimostrebbe così che "i sacrifici fatti avevano un senso". Ma tutto questo non avverrà a breve.
Tra l'altro, Sequi sottolinea il paradosso di questa guerra commerciale: "Gli Stati Uniti, patria del capitalismo, vogliono rilocalizzare la produzione americana e proteggere il lavoro e la base manifatturiera con gli stessi strumenti usati dai cinesi. Mentre i comunisti cinesi adesso difendono il mercato globale, la liberalizzazione delle merci e il Wto".
L'ex ambasciatore parla infine della missione di Giorgia Meloni a Washington la prossima settimana e dei possibili spazi di manovra per una trattativa Ue-Usa. "Intanto se questa visita dovesse portare una disponibilità a dialogare già questo sarebbe un buon risultato - commenta Sequi - La cosa importante è attivare i canali e mi pare che con l'Europa, a differenza che con la Cina, il tentativo di darsi segnali reciproci ci sia". Poi, conclude l'ambasciatore, a Bruxelles deve essere chiaro che "il tema non è di puro riequilibrio della bilancia commerciale, ma c'è una questione molto più seria, che è quella della capacità regolatoria dell'Ue, perché è evidente che quello che dà più fastidio agli americani è che l'Unione, attraverso il Digital Services Act o l'Ia Act, regoli tutta una serie di attività che sono di interesse massimo delle Big Tech americane, le stesse che hanno sostenuto e finanziato la campagna di Trump, con la possibilità anche di aprire delle indagini".