Vaste aree del pianeta potrebbero raggiungere temperature a livelli a malapena accettabili per la sopravvivenza umana, e senza possibilità di tornare indietro. Un calore invivibile per un terzo degli esseri umani, e potrebbe accadere entro 50 anni. A lanciare l’allarme è lo studio “Future of the Human Climate Niche”, appena pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, realizzato da un team scienziati provenienti da Cina, Stati Uniti ed Europa e secondo il quale se le emissioni continueranno ad aumentare, la temperatura mediamente percepita dall’uomo si alzerà di 7,5°C entro il 2070. Un aumento maggiore rispetto a quello previsto per la temperatura media del pianeta, cioè poco più di 3°C e che equivale a una crisi senza precedenti.
Se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare – denuncia lo studio - le aree del pianeta che ospitano un terzo degli esseri umani diventeranno, entro 50 anni, calde quanto le parti più calde del deserto del Sahara. Ciò significherebbe che 3,5 miliardi e mezzo di persone finirebbero per vivere al di fuori della ‘nicchia climatica’ in cui gli esseri umani hanno prosperato per 6.000 anni. I Paesi più colpiti, secondo i ricercatori, saranno India, dove più di 1,2 miliardi di persone finirebbero per vivere in luoghi caldi come il Sahara, e Nigeria, dove 485 milioni di persone vivrebbero nelle stesse condizioni. Più di 100 milioni di persone verrebbero colpiti sia in Pakistan che in Indonesia e Sudan.
Le popolazioni umane sono in gran parte concentrate in fasce climatiche ristrette, in particolare nei luoghi in cui la temperatura media annuale è di circa 11-15°C mentre un numero ridotto di persone vive in luoghi in cui la temperatura media è di circa 20-25° C. Una nicchia climatica costante nella storia dell’umanità che vi ha trovato le condizioni ottimali per consentire alla specie di sopravvivere e prosperare.
Ma il rapido aumento della temperatura porterebbe circa il 30% della popolazione mondiale ad abitare in posti con una temperatura media superiore ai 29°C entro 50 anni, condizioni climatiche che attualmente si sperimentano solo sullo 0,8% della superficie delle terre emerse, principalmente nelle parti più calde del Sahara. Ma entro il 2070, denuncia lo studio, potrebbero riguardare invece il 19% della superficie delle terre emerse.
E tre miliardi e mezzo di persone, quelle esposte al caldo estremo, potrebbero decidere di migrare, anche se “prevedere la rilevanza attuale delle migrazioni causate dai cambiamenti climatici resta una sfida - spiega Marten Scheffer dell’Università di Wageningen - Le persone preferiscono non migrare. Inoltre, c’è da tenere presente l’adattamento locale”.
La soluzione per evitare il rischio? Rapide riduzioni delle emissioni di gas serra che potrebbero dimezzare il numero delle persone esposte a condizioni estremamente calde.
“La buona notizia è che questi effetti si possono ridurre enormemente nel caso in cui la specie umana riesca a frenare il riscaldamento globale - sostiene Tim Lenton, coautore dello studio, climatologo e direttore del Global Systems Institute dell’Università di Exeter - I nostri calcoli dimostrano che ogni grado al di sopra dei livelli attuali corrisponde all’incirca a un miliardo di persone che finiranno fuori dalla nicchia climatica. É importante dimostrare i benefici ottenuti dalla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in termini di migliori condizioni di vita per gli esseri umani prima ancora che in termini monetari”.
A rimanere stupiti dai risultati dello studio sono stati, per primi, i ricercatori stessi. Lo ammette Xu Chi, dell’Università di Nanjing. “Visto che le nostre scoperte erano così rilevanti, ci siamo presi un anno in più per verificare attentamente tutte le supposizioni e i calcoli. Inoltre, abbiamo deciso di pubblicare tutti i dati e i codici informatici, per trasparenza e per agevolare qualunque attività di follow-up da parte di altri studiosi. Avremo bisogno di un approccio globale per salvaguardare le generazioni future dalle significative tensioni sociali che il cambiamento previsto potrebbe causare”.
Anche uno sguardo al passato può aiutare. “Le nuove tecniche e l’impegno a livello mondiale hanno rafforzato la nostra abilità di ricostruire il passato dell’umanità - sostiene Tim Kohler, archeologo dell’Università di Washington State, Pullman - questo ci aiuta a capire che la nostra dipendenza dal clima è profonda ed è rimasta costante nel corso del tempo. L’archeologia ci fornisce molti esempi di come il cambiamento climatico ha incrementato i flussi migratori”.