Saturazione da brutte notizie, sfiducia e sensazione di impotenza: i dati di Global Web Index evidenziano un calo d’interesse verso le questioni ambientali
Negli ultimi anni il tema del cambiamento climatico è diventato sempre più centrale nel dibattito pubblico, tanto da scatenare anche forme di ansia e angoscia. Alle quali sembrerebbe stia seguendo una reazione, una sorta di ‘rimbalzo’. Si chiama ‘Apocalypse Fatigue’, Stanchezza da Apocalisse, ed è quella sensazione di esaurimento dovuta al “dover fare scelte morali infinite e che non sembrano fare la differenza”. Un impulso di cui in Italia si parla ancora poco ma che pare emergere come una tendenza generale.
Un’indagine della società di ricerca Global Web Index su un campione di oltre 65mila utenti del web rileva questo scoraggiamento, questo senso di impotenza di fronte a un fenomeno così globale che si percepisce fuori dalla propria sfera di influenza. Un sentimento su cui incide anche la saturazione dalle brutte notizie, che esplode nel non volerne più saperne niente. E che si accompagna spesso ad un altro pensiero che si sta facendo strada: il ‘climatedoomism’, ovvero l’idea che l’umanità non abbia comunque scampo e non sopravviverà in nessun caso.
I dati del GWI segnano un calo diffuso nell’interesse e nelle azioni che vengono messe in pratica dalle persone in materia di sostenibilità: nonostante singolarmente tutti dicano di essere interessati all’ambiente, in concreto il numero di chi afferma che tutelarlo è importante è sceso dal 2020 a oggi in tutti i mercati monitorati e nella maggior parte dell’Europa. Sono gli americani i più propensi a sostenere che su di loro il climate change non abbia avuto effetto, subito seguiti dagli inglesi.
Ecco qualche dato di GWI riferito al 2023:
Diverse le cause che portano alla Stanchezza da Apocalisse. Oltre alla saturazione, all’allarmismo diffuso e all’idea che tanto non cambierà nulla, vanno considerati altri aspetti.
Per contrastare il fenomeno della Stanchezza da Apocalisse, suggerisce GWI, i brand (e i media) dovrebbero proporre narrazioni meno apocalittiche, appunto, e portare il cittadino a essere ottimista e a credere nell’azione personale e dei governi. Anche sottolineando le azioni intraprese che hanno avuto un risvolto ambientale positivo.
Brand e media devono inoltre stare attenti a essere affidabili e a far sì che ciò che comunicano sia percepito come ‘vero’, allontanando nei consumatori l’idea che le azioni messe in campo siano solo greenwashing, quindi un ambientalismo di facciata che nasconde disinteresse o addirittura interessi opposti. Una percezione che allontana i cittadini dalla sostenibilità.
Un sondaggio condotto sempre da GWI ad agosto 2022 ha evidenziato che meno di 1 occidentale su 3 è ottimista sul fatto che si stiano facendo progressi per quanto riguarda il cambiamento climatico, e che alla fine del 2021 circa la metà riteneva improbabile raggiungere l'obiettivo di limitare l'aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi Celsius.
Occorrerebbe dunque una rappresentazione più positiva e più varia della questione ambientale nei film e nella comunicazione in generale: dal secondo trimestre del 2020, i consumatori che affermano di essere interessati a ciò che accade nel mondo è sceso del 10%, e ancora di più quelli che affermano di postare sui social opinioni su questioni ambientali. I social tra l’altro, insieme ai media, sono uno dei fattori che contribuiscono alla sfiducia e alla Stanchezza da Apocalisse.
Quello che serve, sottolinea GWI, è la speranza, che è molto più efficace della paura nello spingere le persone ad agire e adottare comportamenti sostenibili. La paura logora, la speranza dà motivazione. Raccontare fatti e storie di cambiamento aiuta a credere di poter fare la differenza e in definitiva contrasta la Stanchezza da Apocalisse.