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Cannes: apparenza e fantasmi in 'Personal Shopper'

Kristen Stewart in una scena di 'Personal Shopper' di Olivier Assayas
Kristen Stewart in una scena di 'Personal Shopper' di Olivier Assayas
17 maggio 2016 | 20.32
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(AdnKronos/Cinematografo.it) - Tra i film più divisivi presentati finora in concorso al Festival di Cannes, 'Personal Shopper' di Olivier Assayas poggia però su due certezze: una è l’evidente volontà di proseguire il discorso iniziato con 'Sils Maria' (due anni fa sempre in gara sulla Croisette), con un altro lavoro dove i riflessi, il tema del doppio e dell’assenza la fanno da padrone, l’altra è Kristen Stewart. Che allora vestiva i panni dell’assistente tuttofare dell’attrice interpretata da Juliette Binoche e stavolta è Maureen, la "personal shopper" del titolo, chiamata a correre di qua e di là, tra Parigi e Londra, per ritirare costosi capi d’abbigliamento e accessori del suo datore di lavoro, la celebrity Kyra, interpretata da Nora Von Waldstätten. "Naturalmente ho pensato a questo personaggio subito dopo aver terminato il film precedente. E ho pensato a Kristen, ancora una volta per affidarle il ruolo di un’assistente. Una che lavora per un mondo superficiale, che è tutta apparenza. Mentre parallelamente sente che la sua vita, quella vera, le sta sfuggendo dalle mani", dice Olivier Assayas.

"E Maureen è davvero brava nel suo lavoro, veloce, va subito al punto", ribatte Kristen Stewart, di nuovo sulla Croisette qualche giorno dopo aver accompagnato 'Café Society' di Woody Allen. "Ma – prosegue l’attrice – Maureen è totalmente insiscura, vulnerabile nel suo privato, soprattutto alla luce della recente perdita che ha avuto". Sì, perché la ragazza aveva un fratello gemello, Lewis, morto per una malformazione congenita. Che, proprio come lei, era un medium, capace di percepire le persone dall’aldilà. E Maureen, ora, non aspetta altro che un segno dall’amato fratello, qualsiasi cosa che le possa dare la certezza che stia bene, e in pace. "E’ una storia di fantasmi, certo, ma quelli che ognuno di noi ha dentro la testa. Un film che prova a raccontare qualcosa di invisibile, di inspiegabile, che si pone molte domande, che si sofferma sull’incapacità per ognuno di noi di tirare fuori i nostri sentimenti, le emozioni, quello che proviamo. Sono un’attrice, è vero, ma non pensavo di rimanere così scioccata da un’esperienza simile", dice ancora Kristen Stewart, chiamata dal regista alla prova forse più estrema della sua ancora tutto sommato breve carriera.

"Lei ha ricreato il film con me. Abbiamo comunicato molto, anche se spesso non serviva neanche parlare. Per il film precedente era facilitata, visto che aveva spesso a che fare con Juliette Binoche e il confronto la aiutava. Qui praticamente occupa ogni inquadratura del film, e il più delle volte è da sola. Sapevo che mi avrebbe seguito ma non credevo fino a questo punto, visto che le ho davvero chiesto molto", racconta ancora Assayas, che aggiunge: "Qual è la cosa davvero necessaria affinché si possa realizzare un film? Credo che la risposta sia nella possibilità di creare una fiducia forte, reciproca, tra il regista e i suoi attori, senza la quale è impossibile fare un buon lavoro". Il film rischia molto quando si tratta di provare a mettere in scena il soprannaturale:"“Ho voluto coniugare la nostra realtà quotidiana, quella materiale, e metterla in contrasto con quella che è la nostra vita più privata, intima, quella legata alle emozioni, ai pensieri. L’aspetto soprannaturale serviva solo per amplificare la portata di questo scarto, tentando di rendere visibile l’invisibile", spiega il regista, sottolineando che: "Maureen cerca in tutti i modi di sopravvivere alla perdita del fratello gemello. Ma rischia di chiudersi in se stessa, sempre chinata sul suo smartphone…". Strumento, quest'ultimo, che assumerà forti connotati metaforici: "Credo che ormai siamo totalmente ostaggi delle nuove tecnologie, e la cosa certe volte può assumere sfumature spaventose", conclude il regista.

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