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Lino Guanciale: "Nei panni del commissario Ricciardi con la passione del lettore"

Lino Guanciale:
25 gennaio 2021 | 10.33
LETTURA: 3 minuti

Un commissario nella Napoli del 1932 con una dote particolare e inconsueta, un dono e una dannazione allo stesso tempo: percepire gli ultimi istanti di vita delle persone morte in modo violento. E’ Luigi Alfredo Ricciardi, un barone cilentano benestante che decide di lavorare in polizia, protagonista della serie ‘Il Commissario Ricciardi’, una coproduzione Rai Fiction-Clemart srl in sei episodi in prima visione su Rai1 da lunedì 25 gennaio alle ore 21,25.

La fiction con la regia di Alessandro D’Alatri, girata in 28 settimane di cui 9 in Puglia e le altre in Campania, è tratta di romanzi della serie ‘Il Commissario Ricciardi’, pubblicati da Einaudi e scritti da Maurizio De Giovanni che cura la sceneggiatura insieme a Salvatore Basile, Viola Rispoli e Doriana Leondeff. A vestire i panni del commissario è Lino Guanciale il quale, durante la presentazione alla stampa, ha spiegato che nella sua interpretazione si è lasciato guidare molto dalle sue "fascinazioni" da lettore della serie.

“La grande fortuna – ha sottolineato Guanciale - è stata per me avere un imprinting da lettore. Avevo letto alcuni racconti e uno dei romanzi della serie prima che mi fosse comunicato che ero in ballo per questo ruolo. Il mio imprinting da lettore è stato l’approccio che ho scelto di seguire facendo leva su alcuni elementi di fascinazione. La mia posizione era a tutti gli effetti quella di un lettore. Credo che questo contribuisca a restituire un po’ di verginità al lavoro" creando "una forma di comunicazione tra gli spettatori e gli attori”.

Ricciardi, che può contare su straordinarie doti intuitive, è circondato da un’aura di mistero, che allontana i suoi colleghi: sia il diretto superiore, Garzo (interpretato da Mario Pirrello), sia i subordinati. Uniche eccezioni, il brigadiere Maione, che nella fiction è Antonio Milo, fedele e affezionato, e il medico legale Modo (Enrico Ianniello) antifascista convinto che, nel corso della serie, rischierà la vita a causa delle sue idee politiche e sarà salvato proprio da Ricciardi. La sua solitudine è in qualche modo allentata da due donne che su di lui esercitano un grande fascino: la prima è Enrica (Maria Vera Ratti), che incarna la quieta normalità degli affetti familiari cui Ricciardi aspira; la seconda è Livia (che nella fiction è Serena Iansiti) rappresenta la sensualità e la passione, da cui si sente attratto

“Non credo – ha sottolineato il regista D’Alatri - che si possa fare questa serie senza innamorarsi del commissario Ricciardi, senza entrare dentro il suo stato d’animo e il suo spirito. Questa è stata la cosa più complessa e bella. Mi sono trovato, alla fine, a che fare con questo personaggio che è nato dalla fantasia ma che in realtà è diventato un amico che mi ha preso per mano”. Raccontare la figura di Ricciardi, “è stata la cosa più bella perché qui c’è un tormento straordinario che ha reso l’aspetto sentimentale più interessante”.

"Avevo anticipato - ha proseguito il regista - all’inizio di questa avventura che sarebbe stata l’esperienza più complessa della mia carriera e non mi ero sbagliato perché è stato il lavoro più difficile della mia carriera. Innanzi tutto perché c’era una mole narrativa imponente che nasceva dai romanzi di De Giovanni ciascuno dei quali avrebbe potuto essere una serie per la complessità dei personaggi, dei sapori, di atmosfere che riguardano soprattutto più fili narrativi, quello investigativo, quello sentimentale e quella soprannaturale”.

I vicoli di Napoli, quelli della Sanità e dei Quartieri Spagnoli sono stati ricostruiti nella vecchia città di Taranto, "che è una vecchia città borbonica, la capitale marinara dei Borboni, che aveva mantenuto lo stesso aspetto e sapore. E’ stato meraviglioso lavorare tra Napoli e Taranto per restituire un sapore di credibilità a quell’epoca”, ha detto anche il regista.

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