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'Paralizzati' dall'emicrania

Patologia tre volte più frequente tra le donne, sottovalutata per il 90% di chi ne soffre

(FOTOGRAMMA)
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26 giugno 2019 | 13.30
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Colpisce l'11,6% degli italiani, ma è tre volte più frequente tra le donne (il 15,8% contro il 5% dei maschi). E gli attacchi possono essere 'paralizzanti': il 69,9% di chi soffre di emicrania non riesce a fare nulla in quei momenti, e il 58% vive nella costante paura dei sintomi. Ma solo il 36,7% la considera una vera e propria patologia. E se il 41,1% dei pazienti si rivolge al medico dopo più di un anno dall’esordio, il tempo medio per arrivare alla diagnosi è di 7 anni. E' quanto emerge dalla ricerca 'Vivere con l'emicrania', realizzata dal Censis con la sponsorizzazione di Eli Lilly, Novartis e Teva. L'emicrania, secondo l'indagine, tende a essere sottovalutata e spesso rimane non diagnosticata e non trattata.

Il 36,7% degli stessi pazienti ammette di aver derubricato il proprio mal di testa come un disturbo normale di tanto in tanto, il 28,7% lo ha considerato un problema passeggero e l'8% un lieve fastidio. Il 49,6% afferma che il ritardo nel rivolgersi al medico è dovuto all'iniziale capacità di tenere sotto controllo il disturbo attraverso l’assunzione di farmaci da banco. Grazie alla collaborazione delle società scientifiche che si occupano di emicrania e cefalea a grappolo e delle associazioni dei pazienti, "è stato possibile interpellare un campione di 695 pazienti dai 18 ai 65 anni con diagnosi di emicrania. È stato realizzato anche un focus sui pazienti colpiti da cefalea a grappolo, una forma infrequente di cefalea primaria particolarmente dolorosa", fa sapere il Censis.

Ebbene, l'emicrania cronica (più di 14 giornate di malessere al mese) viene riscontrata soprattutto tra i più anziani (il 42,2% dei pazienti 55-65enni) e tra le donne (il 36,3% contro il 29,9% degli uomini). L'età media all'insorgenza dei primi sintomi è di 22 anni. L'esordio precoce appare più frequente tra le donne: il 42,1% (rispetto al 26% degli uomini) segnala la comparsa dei sintomi prima dei 18 anni. Nel complesso la malattia appare più condizionante per le donne, che definiscono 'scadente' il proprio stato di salute nel 34,1% dei casi (contro il 15% degli uomini).

Il ricorso al medico non sempre è immediato. Se il 41,1% dei pazienti ha aspettato più di un anno, oltre il 20% ha atteso 5 anni o più. E solo il 13,6% ha consultato il medico appena i sintomi si sono palesati. Il ritardo è causato dalla tendenza a minimizzare il problema, legata alla difficoltà di associare al mal di testa un potenziale pericolo concreto per la salute. I pazienti si dichiarano in larga maggioranza (oltre l’80%) molto o abbastanza informati sull’emicrania. I professionisti sanitari sono la fonte più citata (83,7%), in particolare il neurologo (48,6%). Ma non è modesta la percentuale di quanti indicano internet come fonte informativa (43,2%).

I pazienti non esprimono però un giudizio nettamente positivo sulle informazioni in loro possesso: il 45,2% segnala di aver ottenuto tutte le informazioni di cui aveva bisogno, ma il 49,1% è insoddisfatto. E l’accesso ai farmaci è gratuito solo per una minoranza. Nel caso della terapia sintomatica, i pazienti ricorrono in misura maggiore (82,3%) alla somministrazione di analgesici/antiemicranici soggetti a prescrizione (in quasi la metà dei casi di tratta di triptani), mentre il 31,8% utilizza medicinali da banco. L’adesione a una strategia di prevenzione dell’attacco emicranico riguarda il 61% dei pazienti ed è più comune tra quelli cronici (71,8%).

I farmaci soggetti a prescrizione sono stati ottenuti in gran parte attraverso il Servizio sanitario nazionale, ma solo per il 19,5% in modo totalmente gratuito, mentre per il 42,7% attraverso il pagamento del ticket. Il 37,8% invece ha affrontato i costi totalmente 'out of pocket'. Complessivamente, poco più del 30% dei pazienti usufruisce delle cure dei Centri dedicati al trattamento delle cefalee. In particolare, vi si rivolge il 50,4% di chi soffre di emicrania cronica e il 35% delle donne. Più del 55% individua nello specialista il proprio interlocutore primario e il 25,5% fa riferimento al proprio medico di medicina generale. Se per quasi il 90% la malattia è sottovalutata socialmente, tra le priorità segnalate dai pazienti c'è il miglioramento della formazione dei medici su questa specifica patologia (61,2%).

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