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Nomine Ue, la trincea di Meloni: "Sbagliate nel metodo e nel merito"

La presidente del Consiglio si astiene su von der Leyen, ma le trattative proseguono, e vota contro Costa e Kallas

Giorgia Meloni - Afp
Giorgia Meloni - Afp
28 giugno 2024 | 04.07
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Il momento delle decisioni alla fine è arrivato. Nella notte in cui il Consiglio europeo dà il via libera alle nuove cariche apicali dell'Unione europea, Giorgia Meloni si astiene sulla riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea e vota no alla designazione del socialista portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio europeo e della liberale estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli affari esteri della Ue. Sceglie la linea dura, la premier italiana, dopo aver tuonato in patria contro la "logica dei caminetti" e la "conventio ad excludendum" che a suo dire Ppe, S&D e Renew avrebbero attuato nei confronti dell'Italia preconfezionando il loro 'pacchetto' sulle nomine per i top jobs.

Al termine dei lavori, prima con un tweet e poi in un punto stampa Meloni ribadisce la sua posizione: "La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei - spiega la leader di Fratelli d'Italia - è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni". In attesa del pronunciamento del Parlamento europeo, che dovrà esprimersi sulla nomina di von der Leyen, i riflettori sono puntati sulle trattative per l'assegnazione dei commissari: "Continuiamo a lavorare per dare finalmente all'Italia il peso che le compete in Europa", scrive infatti la presidente del Consiglio.

Calato il sipario sul Consiglio europeo, il primo della nuova legislatura, fonti di Palazzo Chigi spiegano la ratio della scelta di Meloni e rimarcano come davanti ai leader degli altri 26 Paesi Ue la premier italiana abbia esternato la propria contrarietà al metodo che i negoziatori popolari, socialisti e liberali hanno seguito nella scelta dei profili, esprimendo voto contrario a Costa e Kallas.

Per quanto riguarda la nomina di von der Leyen a presidente della Commissione, sottolineano le stesse fonti, "si è deciso per un voto di astensione nel rispetto delle diverse valutazioni tra i partiti della maggioranza di governo" dove coesistono orientamenti differenti come quello di Antonio Tajani, che sostiene la candidata del Ppe von der Leyen, e quello di Matteo Salvini, che invece sente "puzza di colpo di Stato" sulle nuove nomine. Palazzo Chigi ora aspetta di conoscere "le linee programmatiche" di von der Leyen e "aprire una negoziazione sul ruolo dell'Italia". Un ruolo che Roma intende far valere chiedendo una vicepresidenza della Commissione e un commissario con deleghe pesanti: tra i nomi in pole c'è quello ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, che potrebbe accasarsi a Bruxelles come commissario alla Coesione e al Recovery Plan.

E' la stessa Meloni, a tarda notte, a ribadire la sua linea davanti ai cronisti: "Penso che l'Italia debba far valere il suo ruolo, il suo peso e l'indicazione dei suoi cittadini. All'Italia - assicura Meloni - verrà riconosciuto quello che le spetta, non per le simpatie espresse dal governo ma perché è un Paese fondatore ed è la terza economia europea. E' una necessità per l'Europa lavorare bene con l'Italia. Io mi sono guadagnata il rispetto tra i miei colleghi perché sono abituata a dire le cose come le penso. Sono rispettata perché non ho una doppia faccia".

La premier dice di non credere all'ipotesi di una ritorsione nei confronti dell'Italia dopo il suo no di stanotte: "Se fosse così sarebbe vergognoso. Lo escludo". Un eventuale sostegno in Parlamento al bis di Ursula, spiega l'inquilina di Palazzo Chigi, dipenderà dai provvedimenti che il capo dell'esecutivo Ue intenderà mettere in campo e dal peso che verrà riconosciuto all'Italia: "Il tema non è Ursula von der Leyen ma quali sono le politiche che intende portare avanti. Come accade anche per gli altri nomi che sono stati fatti (Costa e Kallas, ndr) noi non abbiamo risposte". Tutto è ancora possibile, dunque.

Sulle nomine lo stesso Ecr, il gruppo politico di Meloni, si è dimostrato tutt'altro che granitico. Il premier ceco Petr Fiala per esempio, unico altro leader conservatore nel Consiglio, ha dato il suo assenso ai 'top jobs'. E per quanto riguarda un altro dei protagonisti del fronte sovranista, l'ungherese Viktor Orban, la posizione in questo caso è stata contraria a von der Leyen, favorevole a Costa e di astensione su Kallas. Meloni però non vuole sentire parlare di isolamento: "Penso che il ruolo dell'Italia non sia quello di aspettare quello che fanno gli altri e accodarsi. Io sono sempre stata convinta del fatto che la leadership stia nel fatto che qualcuno si accorga che tu esista". Intanto all'Europarlamento il gruppo di Meloni è alle prese con il primo, possibile strappo con i polacchi del Pis.

"Stanno trattando delle posizioni in Ecr. Ci rivedremo settimana prossima e vedremo come finisce", spiegano all'Adnkronos fonti italiane di Ecr commentando l'intervista a 'Politico' del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, il quale ha dichiarato che il suo partito, il Pis, sta sondando la possibilità di dar vita a un gruppo dell'Europa centro-orientale al Parlamento europeo. In caso di fuoriuscita dei parlamentari polacchi il gruppo di Meloni dovrebbe dire addio alla terza posizione come compagine più numerosa dell'Eurocamera. Con evidenti ricadute sulla sua influenza nelle negoziazioni. (dall'inviato Antonio Atte)

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