Nessun elemento per sostenere il procedimento di "messa in stato d'accusa" del Presidente della Repubblica. A sottolinearlo alcuni costituzionalisti interpellati dall'AdnKronos secondo i quali Sergio Mattarella non ha commesso alcuna violazione prevista dal diritto costituzionale per l'impeachment.
"Coloro che parlano di impeachment - spiega l'ex presidente della Corte Costituzionale Enzo Cheli - sostengono che Sergio Mattarella abbia compiuto, accettando la rinuncia al mandato del professor Conte e opponendosi alla nomina di Paolo Savona come ministro dell’Economia, un attentato alla Costituzione; in realtà non c’è stato nessun attentato, deve essere chiaro che quel comportamento di Mattarella è stato assolutamente rispettoso dei confini che la Costituzione dà ai poteri del Capo dello Stato”.
Di fronte alle dichiarazioni di Luigi Di Maio e Giorgia Meloni, che hanno accusato il presidente della Repubblica di attentare alla sovranità nazionale, Cheli ribatte: “Ribalterei questa accusa esattamente nella posizione inversa, Mattarella ha difeso la sovranità nazionale quando ha fermato un’azione politica che puntava a rompere gli impegni europei, che l’Italia ha assunto da cinquant’anni e che è tenuta a rispettare in base all’articolo 11 della Costituzione. La nomina del professor Savona, persona sicuramente molto competente ma favorevole a un’uscita dell’Italia dall’euro, aveva allarmato i mercati, generando dei riflessi negativi sui titoli di Stato e quelli quotati in borsa, il Capo dello Stato in questa situazione deve intervenire”.
Per il costituzionalista “questa proposta si spegnerà in attesa del voto”. “Lo scontro non sarà lieve - aggiunge - le future elezioni oramai prefigurano una spaccatura del Paese tra coloro che difendono una collocazione dell’Italia nel quadro europeo e coloro che invece puntano a superare questa situazione di accordo internazionale, auspicando un andamento che non sarebbe diverso da quello che sta percorrendo la Gran Bretagna con la Brexit”.
Concorda con Cheli anche il professor Andrea Morrone, che insegna Diritto Costituzionale all’Università di Bologna e dirige la rivista italiana 'Quaderni Costituzionali'. Morrone rimarca all’AdnKronos la differenza tra politica e istituzioni. “Un conto è la valutazione politica dei partiti che sostenevano il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte - dichiara - che avevano legittimamente diritto a manifestare le loro linee politiche e comunicare al Presidente della Repubblica i nomi dei ministri, un conto è invece il compito del Capo dello Stato di difendere la Costituzione e i suoi valori fondamentali. Tra essi ci sono: il rispetto dei vincoli europei, in virtù dell’articolo 11, e la tutela dei risparmi”.
“Il Presidente della Repubblica - chiarisce Morrone - rappresenta l’unità nazionale, deve dunque tener conto degli interessi di tutto il Paese, anche delle parti in minoranza. Non bisogna confondere la sovranità popolare con ciò che chiedevano i due partiti che avevano insieme il 50% dei voti. Bisogna distinguere il piano della maggioranza politica da quello della Costituzione”.
Di fronte alla possibilità che i Cinque Stelle possano proseguire con un effettivo procedimento di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, Morrone ribadisce che si tratta di “una procedura molto lunga e complessa”. Ricorda che, dopo un’istruttoria composta da un comitato bicamerale la questione dovrebbe passare al Parlamento in seduta comune che dovrebbe approvarla con la maggioranza assoluta, infine il giudizio sarà rimesso alla Corte Costituzionale, in un totale di 8 mesi. “In questo contesto l’impeachment - conclude il professore - viene utilizzato come un vessillo da questi protagonisti politici, come la Meloni e Di Maio, Salvini per ora tace, perché ormai si sta precipitando verso elezioni anticipate, quindi inserire anche il Quirinale all’interno del dibattito elettorale costituisce un tema politicamente molto importante”.
Giovanni Guzzetta, giurista e professore di Diritto Costituzionale all’Università di Tor Vergata, parlando con l’AdnKronos torna a sottolineare l’aspetto tecnico della vicenda: “Tecnicamente vedo due problemi. Innanzitutto l’ordinamento prevede un’attività istruttoria che dovrebbe essere fatta da organi che non sono stati ancora costituiti dal momento delle votazioni. In aggiunta, la responsabilità penale prevedrebbe che il Presidente abbia agito con la deliberata volontà di sovvertire la Costituzione, ma questa intenzione mi sembra difficilmente sostenibile”.
“Penso che dovremmo cercare tutti quanti di avere un atteggiamento costruttivo - conclude - senza nascondere tutte le differenze politiche, anche radicali. Mi pare che la messa in stato d’accusa sia un elemento che complica una situazione già molto drammatica”.
Per Antonio Saitta, costituzionalista e ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Messina, candidato sindaco del centrosinistra di Messina, "sono irresponsabili ed eversive le dichiarazioni di Luigi Di Maio e Giorgia Meloni che vogliono promuovere la messa in stato d'accusa di Mattarella: azione priva di qualsiasi fondamento. Mi auguro che possa prevalere in questo momento la responsabilità delle forze politiche democratiche". Saitta esprime "solidarietà" al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, "figura di garanzia della nostra Costituzione, il quale proprio su questa linea si è mosso, secondo l’articolo 92 della Carta fondante".
C'è poi una nota sottoscritta da Enzo Cheli, Paolo Caretti, Ugo De Siervo, Stefano Merlini, Roberto Zaccaria, Stefano Grassi, Cristina Grisolia, Elisabetta Catelani, Massimo Carli, Orlando Roselli, Giovanni Tarli Barbieri, Andrea Simoncini, Andrea Cardone, Duccio Traina.
"I sottoscritti professori di diritto costituzionale della scuola fiorentina di Paolo Barile - scrivono - preoccupati per gli sviluppi della crisi di governo in atto e per l’asprezza del dibattito che è seguito al tentativo di governo del professor Giuseppe Conte, avvertono il bisogno di intervenire per evitare che si dia degli ultimi avvenimenti un’interpretazione lontana dalla lettera della Costituzione e dalla prassi che su di essa si è sviluppata negli anni. Al riguardo è bene chiarire subito che è profondamente sbagliata l’idea che il Presidente della Repubblica sia un organo 'neutro', un semplice notaio. Al contrario, l’organo presidenziale è titolare di poteri propri che insieme gli assegnano una funzione d’indirizzo politico costituzionale (come sosteneva Paolo Barile), volto a garantire il corretto funzionamento del sistema e la tutela degli interessi generali della comunità nazionale".
"A ciò - spiegano i costituzionalisti - rispondono, tra l’altro, il potere di rinvio delle leggi alle Camere perché ritenute manifestamente incostituzionali, i poteri che gli competono quale presidente del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio superiore di difesa, il potere di grazia, il potere di nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di quest’ultimo, dei ministri, il potere di sciogliere le Camere".
"L’esercizio di alcuni di questi poteri - dicono ancora gli studiosi - richiedono il concorso di altri soggetti istituzionali e, per quanto riguarda la nomina dei ministri, il concorso del presidente del Consiglio incaricato. Qualora tale concorso non si realizzi, l’ultima parola spetta al Capo dello Stato, il quale assume su di sé in pieno la responsabilità delle sue decisioni".
"In questo quadro, il comportamento del presidente Mattarella appare del tutto conforme alla lettera della Costituzione e alla prassi. La sua interpretazione di quello che nelle condizioni date rappresenta il superiore interesse nazionale può certo prestarsi a critiche, come del resto avvenuto in un recente passato di fronte a scelte presidenziali determinate da circostanze non meno eccezionali di quelle attuali, ma non sul piano del rispetto della Costituzione".
"Appare pertanto assolutamente inammissibile - concludono i costituzionalisti - che si possa anche solo evocare la messa in stato d’accusa del Presidente, ai sensi dell’articolo 90 Costituzione. Ciò significa confondere i due diversi piani su cui va valutata questa vicenda, con il rischio grave di minare alle radici uno dei presidi fondamentali del nostro sistema costituzionale".