Quindici giorni in giro per il Sunshine State, a poco più di due mesi dal voto, restituiscono la fotografia di una partita apparentemente già giocata. Ma i numeri dicono un'altra cosa
Missing. Non c’è traccia di kamala Harris e dei Democratici in Florida. Qualsiasi segno visibile delle elezioni americane è colorato di rosso repubblicano. Magliette nei negozi, manifesti affissi fuori da case ordinarie e ville lussuose, strade addobbate da vessilli pro Donald Trump. Ogni traccia di elezioni 2024 è a senso unico nello Stato governato da Ron DeSantis. Eppure, gli ultimi sondaggi pubblicati, a partire da quello 'The Public Policy Polling survey of the state', dicono che a oggi ci sono solo quattro punti percentuali a vantaggio del tycoon.
Quindici giorni in giro per il Sunshine State, a poco più di due mesi dal voto, restituiscono la fotografia di una partita apparentemente già giocata. Una rilevazione grossolana, parlando con le persone incontrate nei bar e nei ristoranti, in spiaggia o nelle estenuanti file di Disney World, produce risultati scontati. Quello che sulla carta è uno swing state, contendibile nonostante le ultime due tornate elettorali abbiamo spostato nettamente l’equilibrio a favore dei Repubblicani, appare a chi percorre le strade che si allontanano da Miami un feudo rosso.
Verso nord, lungo la A1A che percorre tutta la costa atlantica, e verso sud, fino a Key West, ma anche sconfinando sul golfo del Messico e risalendo fino a Orlando. Si incontrano macchine con adesivi che ringraziano Trump e riproducono gli slogan del Make America Great Again , ai lati delle strade appuntati nelle aiuole i cartelli dei candidati locali, quasi tutti repubblicani. Nel regno di Trump, a Mar a Lago, l’ostentata ricchezza di Palm Beach accompagna fino al cancello di ingresso del quartier generale del tycoon, adeguatamente presidiato dalle forze dell’ordine, impegnate a garantire sicurezza e riservatezza. Intorno, si muovono supercar e yacht milionari, donne e uomini che si dividono fra jogging, monopattini e rollerblade.
I numeri, quelli dei sondaggi e quelli che emergono dall'analisi dei flussi elettorali delle ultime elezioni, dicono che la partita resta aperta soprattutto perché ad avere un peso consistente saranno le grandi città, a partire ovviamente da Miami. Tra Downtown e South Beach, si muove una comunità multietnica e internazionale che sembra una bolla poco permeabile alle dinamiche di una campagna elettorale. Mentre le principali televisioni trasmettono in diretta la convention democratica di Chicago, con Barack e Michelle Obama a lanciare la corsa di Kamala Harris, le auto di lusso e gli yacht continuano le rispettive sfilate, una routine che si aggiunge alla puntuale alternanza di sole e rovesci di pioggia dell’agosto tropicale.
Ci sono due tipologie di voto diverse che si sommano nella contabilità su cui può fare affidamento Trump. I ricchi che si aspettano un’amministrazione particolarmente indulgente con le proprietà e il denaro, sia in termini fiscali sia nell’approccio alla gestione dei flussi finanziari. La componente più nazionalista e identitaria della società americana, quella radicata fuori dalle città, in un tessuto che in Florida e’ particolarmente permeato dall’infatuazione trumpista. Sono anche le due componenti più visibili e leggibili attraversando il Sunshine state.
Poi ci sono le grandi comunità, partendo dagli ispanici, disponibili storicamente a scegliere il candidato considerato più incline ai propri interessi. L’ossessione di Trump anti comunista, o anti socialista, diventata più insistente da quando si è costituito il nuovo ticket democratico Harris-Scholz, si incastra bene con le tradizionali pulsioni dei cubani di Miami, che non ne vogliono sapere di qualsiasi lontanissima assonanza con l’odiato castrismo.
Se i segni diffusi del trumpismo non possono essere una sorpresa, la pressoché totale assenza della concorrenza democratica può essere letta con diverse interpretazioni. La prima si lega a una scelta di sostanziale disimpegno in un territorio considerato perso. La seconda, più concreta, a una strategia di comunicazione elettorale affidata esclusivamente al messaggio principale, quello della contrapposizione tra bene e male, della scelta di campo tra un’America che va avanti e una che torna indietro, con poca presenza sul territorio e la speranza che possa prevalere una presa di coscienza trasversale alla società americana. Con la Florida che si percepisce lungo le sue strade da una parte e il risultato del 5 novembre dall’altra, nelle attese dei Democratici che insistono sullo slogan “Florida is in play!”. (Di Fabio Insenga)