A far crescere il Pil c'è quasi esclusivamente la produzione bellica, il dilemma del Cremlino
Ha ragione chi come l'Institute for the Study of War (Isw) sostiene che Vladimir Putin sia pronto a portare la guerra dopo l'Ucraina anche nei Paesi Baltici o, al contrario, chi come il segretario di Stato americano Antony Blinken ritiene che la guerra sia stata "un profondo fallimento strategico per Putin e la Russia"? Le due posizioni potrebbero non essere così contrastanti tra loro e una possibile risposta si può trovare nell'analisi dell'andamento dell'economia russa, che vede il pil crescere nonostante le sanzioni occidentali. A spingerlo è quasi esclusivamente la produzione bellica, tanto che il dato può essere letto come un'alterazione statistica della realtà. Con un'appendice che potrebbe avere conseguenze significative: Putin potrebbe aver bisogno di allargare la guerra o di impegnarsi in nuove guerre per far sopravvivere la sua economia e allungare il proprio regime.
Quella russa si è trasformata irreversibilmente in una economia di guerra. Il dato definitivo della crescita per il 2023 sarà superiore al 3,5%, dopo che nel 2022, l'anno più duro per Mosca, il calo si è fermato al 2,1%. Come sono possibili questi dati, nonostante il taglio quasi totale dell'interscambio con i paesi occidentali e l'impatto delle sanzioni? Grazie allo sforzo bellico, con la voce legata alla spesa militare cresciuta in maniera esponenziale, mese dopo mese, dall'inizio della guerra all'Ucraina. La spesa pubblica, nel suo complesso, è ampiamente fuori controllo e anche l'occupazione e la produzione industriale sono ormai quasi esclusivamente legate al settore militare. Tutto il resto, al contrario, soffre in maniera sempre più consistente. E anche se il saldo si traduce statisticamente in un pil positivo, il dato è sensibilmente 'drogato'.
In tutte le economie di guerra, e quella russa non fa eccezione, al crescere della spesa militare corrisponde un taglio della spesa sociale, creando problemi di consenso. Allo stesso tempo, con un aumento della domanda a fronte di un'offerta sempre più rigida, cresce l'inflazione e si rende necessario un aumento dei tassi di interesse. La Banca centrale russa ha alzato a metà dicembre, un mese fa, il tasso di interesse di riferimento di 100 punti base portandolo al 16% dal 15% precedente. E' stato il quinto rialzo consecutivo da luglio, a fronte di un tasso di inflazione stimato al 7,5% per il 2023. Le previsioni per il 2024 sono ancora più alte, al 14,2%. Soprattutto, sono schizzati i prezzi dei beni di prima necessità, dalle uova alla frutta e alla verdura, e sono aumentati in maniera insostenibile i mutui. E tutto questo ha un impatto enorme sulla popolazione e, in particolare, sulle famiglie russe.
Qualsiasi economista, inclusa la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina, ritiene che la Russia non possa non risentire delle sanzioni occidentali a medio-lungo termine e che non possa sostenere a lungo una crescita che sia solo frutto di un’economia di guerra. Il problema è che non è assolutamente detto che Putin abbia intenzione di ascoltarli. Perché fermare la guerra in Ucraina porterebbe benefici ai russi e anche all'economia russa, che andrebbe ricostruita nei suoi fondamentali reali, ma è difficile che ne porti al regime di Putin. Al contrario, allungare e allargare la guerra, potrebbe garantire lui, anche a costo di distruggere quello che resta del tessuto produttivo e sociale russo. (Di Fabio Insenga)