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L'esperto: "L'Isis ha creato un format che fa audience e noi siamo gli attori"

Marco Lombardi, sociologo della Cattolica di Milano: "Il Califfato ha sviluppato un modello comunicativo che gioca con le regole del mercato". Lo psichiatra: "Per i terroristi decapitare ha un valore simbolico: significa tagliare il pensiero, punire i valori dell'occidente". Ucciso in Algeria Hervé Gourdel, l'esploratore francese

L'esperto:
25 settembre 2014 | 16.47
LETTURA: 3 minuti

I video dei jihadisti sono parte integrante di un vero e proprio 'format' propagandistico ad uso di una community di sostenitori e potenziali fiancheggiatori. E' Marco Lombardi, professore di sociologia all'università Cattolica di Milano e membro di Eenet (European Expert Network on Terrorism Issue), a delineare all'Adnkronos le strategie di comunicazione del Califfato, in cui le testimonianze delle decapitazioni di ostaggi giocano un ruolo fondamentale.

"Siamo dentro un grande format. La comunicazione, al tempo dei social network, è cambiata anche per i gruppi terroristi. Dalle Brigate Rosse negli anni '70 allo stato islamico, la tecnologia ha influenzato e influenza il messaggio, anche se la guerra si combatte sempre con l'Ak 47. Dalla stella a 5 punte delle Brigate Rosse a oggi sono intervenuti mutamenti tecnologici che hanno impattato sul messaggio". Per Lombardi, l'Is ha creato "un modello comunicativo che fa audience, che gioca con le regole del mercato. Gli attori sono in generale gli occidentali, la community dei fan è costituita dai simpatizzanti del jihad".

Secondo lo psichiatra Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano, "il terrore esibito" serve per "metterci paura e renderci ancora più fragili di quello che siamo". Un 'format' che "ci sbatte in faccia morte e violenza, due concetti che il mondo occidentale ha trasformato in tabù". E che non a caso rispolvera "riti antichi e selvaggi" come la decapitazione: "E' assolutamente simbolica. Vuol dire tagliarci il pensiero, punirci per i nostri valori, dirci che siamo dalla parte sbagliata". "Con quello che sta accadendo - spiega Mencacci all'Adnkronos Salute - la morte e la violenza, due grandi paure che avevamo cercato di nascondere e confinare in una dimensione privata, ora vengono esibite e diventano un rito collettivo".

In questo modo il Califfato "rievoca e trasforma in manifestazione pubblica la figura del boia, il concetto di esecuzione in piazza. Tutto questo spinge il nostro immaginario a tempi arcaici dominati dalla legge della crudeltà". Al contempo "crudeltà e violenza esercitano da sempre anche un fascino perverso", attirano l'attenzione e calamitano gli sguardi. Non vorremmo vedere, però guardiamo. "Ma attenzione", avverte lo psichiatra: "Questo non è un film, è la vita vera".

La volontà del Califfato è "risvegliare vecchie paure e farne nascere di nuove. Perché la paura acceca tutto, paralizza, rende incapaci di agire e reagire, di far valere le proprie idee e le proprie conquiste", ragiona lo psichiatra. E avverte: "La vera guerra all'Isis non la faranno i droni. La sfida più grande si gioca sul piano della comunicazione". Sia perché "la censura sarebbe la prima sconfitta della nostra civiltà", sia perché "la giusta comunicazione permetterà a noi tutti di sviluppare gli anticorpi e la forza necessaria per far fronte a questa spinta antistorica. Quello che sta accadendo non è un film, ma realtà - ribadisce - Ma noi possiamo e dobbiamo andare oltre".

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