Tra tutti gli attori in gioco, il Vecchio Continente paga divisioni interne e l'incapacità di assumere una posizione univoca. Ascolta il podcast
La tensione continua a salire in Medio Oriente, con il rischio che la guerra tra Israele, Libano e Iran possa degenerare in un conflitto sempre più largo. A ogni azione segue una rappresaglia, con le diplomazie sostanzialmente impotenti. Riescono a fare poco gli Stati Uniti e sta facendo ancora meno l’Europa.
Lavorare per la pace è l’unica opzione sul tavolo per evitare che i costi della guerra, prima di tutto umani ma anche economici e geopolitici, finiscano per travolgere qualsiasi speranza di distensione in Medio Oriente. Servirebbe più politica e, soprattutto, una politica capace di incidere sulle decisioni che verranno prese.
Qualcosa, comunque, oggi si è mosso. A seguito dell’aggravarsi della crisi in Medio Oriente, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha convocato d’urgenza e presieduto questo pomeriggio una conferenza telefonica dei leader del G7. Nel corso della conversazione, ha informato Palazzo Chigi, è stata reiterata la "ferma condanna all’attacco iraniano contro Israele. "In uno scenario in costante evoluzione, è stato convenuto di lavorare congiuntamente per favorire una riduzione delle tensioni a livello regionale, a partire dall’applicazione della Risoluzione 2735 a Gaza e della Risoluzione 1701 per la stabilizzazione del confine israelo-libanese". Al di là dei tecnicismi che passano per le quasi sempre inascoltate risoluzioni Onu, è il messaggio che conta. "Nell’esprimere forte preoccupazione per l’escalation di queste ultime ore, è stato ribadito che un conflitto su scala regionale non è nell’interesse di nessuno e che una soluzione diplomatica risulta ancora possibile".
Nelle legittime posizioni delle parti in causa, inclusa la cautela dei singoli governi, quello che stride con la complessità e le catastrofiche conseguenze che possono derivare da quello che sta avvenendo resta il sostanziale silenzio delle istituzioni europee.
La domanda che ricorre è: cosa si sta facendo concretamente per evitare l’escalation? Si dice di lavorare a ogni livello, sia a livello politico sia con l’intelligence. Ma tra ferme condanne e generiche richieste di cessate il fuoco la voce dell’Europa rischia di risultare completamente ininfluente.
"Siamo di fronte all’impotenza non solo di un Paese come l’Italia, ma dell’intera comunità internazionale. E desolante è l’incapacità dell’Unione europea di mettere in campo una politica estera comune, che non ha e non può avere – a maggior ragione durante la Presidenza di turno Ue affidata a Orban - ma che servirebbe unitamente a quella di difesa e sarebbe l’unica modalità per incidere", sintetizza Benedetto Della Vedova, deputato di +Europa, intervenendo alla seduta comune alla Camera delle commissioni Esteri e Difesa.
Pesa, senza dubbio, il ritardo accumulato a livello comunitario sul piano della difesa comune e di una politica estera comune. Nella nuova Commissione Ue che sta nascendo sono riposte le speranze che l’Europa possa progressivamente iniziare a far sentire la propria voce. Nel frattempo, è auspicabile che si possa arrivare in qualche modo a dare un contributo per stabilizzare rapidamente un conflitto che sta degenerando. (Di Fabio Insenga)