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Hillary Clinton: dal Sexgate al Mailgate, una vita a contrastare scandali

(Afp)
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30 ottobre 2016 | 14.38
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Dal Sexgate al Mailgate, passando dallo scandalo Whitewater e della vicenda di Bengasi: sono innumerevoli le volte che Hillary Clinton, in decenni di vita pubblica e politica a Washington, si è trovata a doversi difendere con tutte le sue forze per sopravvivere ad uno scandalo. Ed anche questa volta la candidata democratica alla Casa Bianca sembra destinata ad una lotta all'ultimo colpo in questa ultima settimana di campagna elettorale per tentare di riuscire, nonostante l'insidia della riapertura dell'inchiesta Fbi sulle sue mail, a diventare 'Madam President', la prima donna presidente degli Stati Uniti.

Nata a Chicago il 26 ottobre 1947 Hillary Diane Rodham è una studentessa modello, membro del debate team, le squadre che nelle scuole americane si sfidano in dibattiti, preconizzando il suo futuro di avvocato e di politico. In quegli anni di teenager, Hillary si considera una repubblicana, come il padre Hugh - la mamma Dorothy invece era democratica, ha scritto Clinton in "Living History" - e nel 1964 sostiene la candidatura di Barry Goldwater, il senatore dell'Arizona che sfidò il presidente Lyndon Johnson per la Casa Bianca.

Ma proprio preparandosi per un dibattito al liceo contro i democratici, ha raccontato ancora Clinton nel libro, si informò sul presidente democratico, che fece approvare le leggi sui diritti civili, e cominciò a cambiare posizione. Poi partì per il prestigioso Wellesley College, l'università femminile diventata la roccaforte del pensiero liberal e femminista, e Hillary si spostò completamente a sinistra, impegnandosi nel movimento politico studentesco.

Diventa una leader della sua università, se nel 1969, anno della sua laurea, viene scelta da Life per un servizio fotografico insieme ad esponenti di quella 'class of 69' protagonista di una stagione importante di proteste e trasformazione nelle università e nel Paese. "Stiamo mettendo in discussione tutte le nostre istituzioni, le nostre università, le nostre chiese, il nostro governo", diceva Hillary nel suo discorso di laurea.

Da Wellesley alla Law School in un'altra università prestigiosa, Yale, dove incontra Bill Clinton, un altro giovane di talento e carismatico, studente di giurisprudenza che arriva dalla lontana Hope, in Arkansas. Su uno dei matrimoni e sodalizi politici più resistenti della storia - la coppia veniva chiamata Billary negli anni novanta - sono circolate moltissime voci e leggende.

Ma nel discorso alla convention di Filadelfia che ha incoronato la moglie candidata alla Casa Bianca, Bill la scorsa estate ha raccontato la versione ufficiale del loro primo incontro, rappresentandosi come un timido ed intimorito studente che per settimane aveva cercato di avvicinarsi ed attaccare bottone con la compagna di corso. Ed alla fine fu lei a fare il primo passo: "Sono Hillary Rodham, e tu chi sei? Al momento rimasi senza parole", ha raccontato l'ex presidente famoso per la sua facilità di parola e il suo charme con le donne.

Poi ci sono state le lezioni seguite insieme, la visita al museo di Yale: "E' da allora che ridiamo, parliamo, camminiamo insieme, nei tempi buoni e quelli cattivi, nella gioia e nel dolore", ha rivendicato Bill, sorvolando sui dettagli dei tempi difficili, la serie infinita delle scappatelle e dei tradimenti culminata con il Sexgate, l'incredibile vicenda Lewinsky, la vergogna di un processo di impeachment - il primo della storia - per aver mentito su una relazione sessuale con una stagista nello Studio Ovale.

"Ho sposato la mia migliore amica", ha concluso alla convention Bill, parlando di Hillary che gli è sempre rimasta al fianco, come nella canzone 'stand by your man'. Ed al fianco di Bill, l'avvocato Rodham Clinton - i due si sposano nel 1975 - vola in Arkansas, dove nel 1978 il marito diventa governatore.

Ma Hillary non fa la moglie del governatore, anzi poco dopo l'elezione di Bill, diventa partner del Rose Law Firm, lo storico studio legale di Little Rock dove era entrata come prima donna 'associate', che fu poi coinvolto nelle complesse trame della vicenda Whitewater, lo scandalo sugli investimenti immobiliari in Arkansas che aprì le danze di tutta la serie di scandali, 'gates', inchieste speciali che tormentarono i Clinton per tutti i due mandati di Bill alla Casa Bianca.

Anche perché alcune delle figure che furono poi coinvolte in quello scandalo - che alla metà degli anni novanta portò ad una serie di processi a Little Rock ed anche alle dimissioni del successore di Clinton alla guida dell'Arkansas, Jim Guy Tucker - si erano trasferite alla Casa Bianca, dopo la vittoria di Clinton che 1992 sconfisse George Bush padre negandogli un secondo mandato.

Come Vincent Foster, collega di Hillary al Rose Law Firm e suo amico personale, diventato vice capo dell'ufficio legale della Casa Bianca, che fu trovato morto in un parco di Washington nell'estate del 1993. Le autorità stabilirono che si trattò di suicidio, ma per anni sono circolate teorie complottiste, che coinvolgevano ovviamente anche i Clinton.

E sulla morte di Foster indagò anche Kenneth Starr, il procuratore speciale, vero e proprio inquisitore a cui nel 1994 fu affidato l'incarico di verificare l'eventuale coinvolgimento dei Clinton nel Whitewater. E dalla costola della sua inchiesta-monstre nacque il Sexgate, che Hillary, in una famosa intervista del 1998, dichiarò essere il frutto di una "ampio complotto della destra".

Prima ancora degli scandali, Hillary era arrivata alla Casa Bianca intenzionata ad interpretare in modo radicalmente diverso il ruolo di first lady, più politico, con Bill che agli elettori prometteva che avrebbero avuto due presidenti "al prezzo di uno", appunto Billary. Ma tutto questo, forse, era ancora troppo per l'America, che non era pronta ad una first lady che pubblicamente rivendicava il diritto a conservare una propria autonomia, indipendenza professionale anche alla Casa Bianca.

Il primo passo falso fu infatti la famosa intervista dei cookies ("sarei potuta rimanere a casa a cuocere i biscotti, ma ho deciso di realizzarmi nella mia professione, che ho iniziato prima che mio marito venisse eletto"). E poi l'incarico ufficiale che il presidente le diede, poco dopo l'insediamento, di stilare un'ambiziosa riforma del sistema sanitario (che sognava l'assistenza universale a cui poi si è avvicinato l'Obamacare), progetto che fallì clamorosamente. Anche per l'insofferenza da parte di un Congresso che si sentì bypassato dalla first lady.

Probabilmente vanno ricercate allora, forse ancora più che nella più clamorosa stagione degli scandali, le radici di quell'animosità, antipatia, diffidenza che Hillary ha sempre suscitato in una parte dell'America, anche tra le donne che si sentirono offese da quella caratterizzazione negativa della 'staying home mom", la mamma che lavora a casa.

E forse anche in quegli anni, mentre Clinton accetta un ruolo più tradizionale da first lady - mantenendo l'accento sempre sulla difesa dei diritti delle donne, come lei stessa ha ricordato con la partecipazione alla conferenza di Pechino del 1995 - comincia a maturare la decisione di una carriera politica in proprio. Nel febbraio del 2000 - esattamente un anno dopo che Bill fu assolto nel processo di impeachment e quando si accingeva a chiudere il secondo mandato con il tasso di popolarità nonostante tutto alle stelle - Hillary annuncia la candidatura al seggio del Senato nello stato di New York.

"Forse posso essere appena arrivata in questa zona - disse Clinton, che fu criticata per essersi candidata, lei nata a Chicago, e poi passata da Little Rock alla Casa Bianca, in uno stato dove aveva preso la residenza solo qualche mese prima - ma le vostre preoccupazioni non sono nuove per me: la politica è l'arte di rendere possibile quello che sembra impossibile, ed è per questo che voglio essere vostro senatore".

Così nel gennaio del 2001, lasciata a George e Laura Bush la Casa Bianca, Hillary si insedia al Senato, dove viene poi riconfermata nel 2006. Tra i tanti voti espressi durante i suoi otto anni trascorsi al Senato, quello che continua a perseguitare Hillary è quello icon cui nel 2002 si diede l'autorizzazione a Bush di attaccare l'Iraq.

Quel voto in favore della guerra che la maggioranza degli americani non voleva più, fu infatti una delle carte vincenti di Barack Obama, il giovane e praticamente sconosciuto neo senatore dell'Illinois che nelle primarie del 2008 ostacolò il cammino di Clinton verso quella che sembrava una nomination annunciata.

Dopo una durissima battaglia per le primarie, l'America ebbe il primo candidato, e poi presidente, afroamericano e decise che per la prima donna si poteva aspettare. Nonostante le ferite e le divisioni della campagna elettorale - durante un dibattito Clinton disse all'avversario 'shame on you Barack Obama', vergognati - una volta chiusa la stagione delle primarie, Obama e Clinton mostrarono grande pragmatismo, disciplina e maturità politica.

Così il presidente Obama chiamò la sua ex avversaria al suo fianco, affidandole l'incarico più importante dell'amministrazione, il posto di segretario di Stato. Durante i suoi quattro anni alla guida della diplomazia Usa, Clinton - che ha raccontato quegli anni nel libro "Hard Choices" con cui ha preparato la nuova campagna presidenziale - ha viaggiato in 112 Paesi, più di ogni suoi predecessore.

Clinton ha guidato la risposta degli Stati Uniti alla Primavera Araba ed in particolare fu lei a convincere Obama, il guerriero riluttante, all'intervento militare in Libia. Una decisione che Clinton si è trovata a dover difendere più volte, di fronte al caos sempre crescente in cui è precipitato il Paese nordafricano, negli anni successivi ed ora durante la campagna elettorale.

Ma a farla finire ancora una volta nel mirino dei innumerevoli inchieste del Congresso repubblicano - 10 commissioni al lavoro che hanno prodotto 13 rapporti al costo di 7 milioni di dollari dei contribuenti- è stata una vicenda dell'attacco al consolato Usa di Bengasi il 12 settembre 2012, in cui rimasero uccisi l'ambasciatore americano e 3 agenti dei servizi. Una vicenda tragica, segnata da confusione ed errori - che Clinton ha ammesso, senza nascondere la commozione per la morte delll'amico Chris Stevens, nel corso della deposizione di 13 ore al Congresso - da cui i repubblicani hanno comunque cercato in ogni modo una 'smoking gun' per fermare la candidatura di Clinton.

Come era successo ai tempi della presidenza del marito, è però da una costola dell'inchiesta di Bengasi che è nato lo scandalo più rischioso per Hillary, il famoso mailgate, cioè lo scandalo per l'utilizzo da parte della Clinton di un server di posta privato, invece che di quello governativo, quando era a Foggy Bottom. Uno scandalo che ora è riscoppiato, dopo che l'Fbi ha annunciato venerdì di aver riaperto l'incheista, come una sorta di pericolosa October Suprise.

Anche qui la Clinton si è scusata, si è presa la responsabilità del proprio errore dettato da negligenza, ma si è difesa dall'accusa di aver voluto coprire sue attività o mettere a repentaglio segreti di stato. Nei mesi scorsi l'Fbi, pur definendo "molto negligente" il modo in cui l'ex segretario di Stato ha utilizzato informazioni riservate online, ha concluso che non vi siano prove di nessun comportamento illegale. Ma ora il direttore James Comey ha reso noto che vi sono nuovi elementi, nuove mail che devono essere indagate.

La vicenda del mailgate, e soprattutto delle 30mila mail che Clinton avrebbe fatto distruggere perché personali prima di consegnare l'intero archivio al dipartimento di Stato, ha continuato ad essere usato dai suoi avversari. "Dovresti essere in prigione", le ha detto durante uno dei dibattiti Trump che spesso nei comizi viene acclamato dai suoi fan con lo slogan 'lock her up", mettiamola in cella.

Il mailgate, come le polemiche per i discorsi alle convention delle corporation per i quali Clinton, lasciato il dipartimento di Stato, è stata pagata centinaia di migliaia di dollari, gli amici ricchi e potenti della Clinton Fondation sono stati però anche tra gli argomenti principali di un altro senatore, questa volta anziano ma capace di infiammare giovani e giovanissimi, che, con una replica di un copione implacabile, anche durante le primarie di quest'anno ha cercato di rovinare la festa della, seconda, nomination annunciata.

Mentre a casa repubblicana Donald Trump sbaraglia ogni candidato dell'establishment, anche tra i democratici il 75enne Bernie Sanders, che si definisce 'socialista' e da anni viene eletto come indipendente nel Vermont, riesce infatti in quello che fino a pochi mesi fa sembrava impossibile: costruire quella che lui ha definito una 'rivoluzione', attirando milioni di voti di democratici, e vincendo così in molti stati, su una piattaforma esplicitamente di sinistra.

Questa volta, però, il sogno della Clinton non viene bloccato, e la democratica diventa la prima donna candidata di un grande partito alla Casa Bianca. E che si trova davanti un candidato come Trump che, oltre alle posizioni anti-immigrate, razziste e xenofobe, sin dall'inizio della sua campagna si distingue per le uscite sessiste e misogine. Tanto che, soprattutto dopo lo scandalo scoppiato dopo la pubblicazione nelle scorse settimane del video in cui il candidato repubblicano si vanta di potersi permettere tutto con le donne perché famoso, l'otto novembre forse sarà proprio il voto delle donne, insieme a quello di ispanici ed afroamericani, decisivo per la vittoria di Clinton.

Con Hillary alla presidenza non arriverebbe solo una madre ma anche una nonna: la figlia Chelsea infatti ha due bambini, Charlotte, di 2 anni, e Aidan, nato lo scorso giugno. E replicando a chi parla, in modo un po' sessista, di 'grand mother in chief', Clinton afferma che è stata proprio la nascita della nipotina a spingerla a candidarsi di nuovo alla Casa Bianca: "Diventare nonna mi ha fatto riflettere sulle responsabilità che abbiamo di guidare nel mondo che abbiamo ereditato e che dobbiamo lasciare, invece che farmi rallentare mi ha dato più grinta".

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