Una fonte del ministero degli Interni del Cairo ha negato che il ricercatore italiano Giulio Regeni sia stato arrestato dalla polizia egiziana lo stesso giorno della sua scomparsa. "La polizia non ha fermato Regeni - ha detto la fonte al sito di notizie 'Youm 7' - non l'ha trattenuto in alcuna sua sede, quelle che circolano al riguardo sono mere illazioni volte a minare il lavoro della sicurezza egiziana e a indebolire le istituzioni dello Stato".
La fonte ha anche affermato che "non c'era alcun motivo per torturare un giovane straniero che studiava in Egitto, il ruolo della polizia è proteggere, non torturare".
FAMILIARI 5 'SEQUESTRATORI' UCCISI: "COSÌ SONO STATI INCASTRATI" - I cinque presunti 'sequestratori' uccisi il 24 marzo dalla polizia egiziana, per i quali le autorità del Cairo hanno parlato di possibili legami con l'omicidio di Regeni, sarebbero stati scelti come capri espiatori in quanto "obiettivi facili", alla luce dei loro precedenti penali. E' l'opinione di Rasha Tarek, moglie di uno dei cinque uccisi, ma anche figlia e sorella di altre due delle vittime.
La donna è stata intervistata dalla Cnn che, all'indomani del faccia a faccia al Cairo tra il segretario di Stato John Kerry e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ha dedicato alla vicenda del giovane ricercatore trovato morto a febbraio un lungo approfondimento. La tv americana ha anche ricostruito nel dettaglio le iniziative diplomatiche prese dall'Italia nei confronti dell'Egitto e di come anche Londra e il Parlamento europeo abbiano criticato il Cairo per il caso Regeni.
Rasha ha spiegato alla Cnn che i suoi familiari avevano precedenti per droga ed erano anche stati arrestati con l'accusa di essersi finti poliziotti. Ma sostiene che anche questa è una montatura: i tre (il marito Salah Ali, il padre Tarek Abdel Fattah e il fratello Saad) avevano trovato un portafoglio con un distintivo, ma non lo avevano mai utilizzato. Erano finiti in manette, secondo Rasha, quando il distintivo era venuto fuori in un controllo stradale della polizia.
Secondo il ministero degli Interni del Cairo, i 5 - definiti in un primo momento "sequestratori" - sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia, esploso quando, a un posto di blocco, è stato intimato l'alt all'auto su cui viaggiavano, nel quartiere el-Tagamou el-Khames. "Anche se non si fossero fermati al posto di blocco - ha affermato Rasha alla Cnn - o se avessero fatto qualcosa di sbagliato, chi dà (alla polizia, ndr) il diritto di ucciderli in quel modo? I loro corpi sembravano essere stati usati per un tiro al bersaglio".
I media egiziani hanno mostrato le foto dei cinque cadaveri crivellati di colpi nell'auto, ma nelle foto non si vedono armi nelle loro mani e la loro famiglia sostiene che non ne avevano. Una fonte governativa anonima del Cairo ha detto alla Cnn che, se anche non fossero stati i cinque ad aprire il fuoco, la polizia aveva comunque il diritto di sparare perché non si erano fermati all'alt. Ma "se stavano scappando - ha osservato Rasha - la polizia avrebbe dovuto sparare alla parte posteriore del veicolo, non a quella frontale. O avrebbe potuto sparare alle ruote o solo al conducente".
La donna inoltre ha raccontato che aveva una conversazione telefonica in corso con il fratello quando la polizia ha sparato e di averlo sentito dire alla polizia, pochi istanti prima degli spari: "Sì, basha (appellativo rispettoso usato per chi ha uno status elevato o per la polizia, ndr), perché sei nervoso, basha? Dimmi di cosa hai bisogno, giuro che ti darò quello che vuoi, basha".
Il portavoce del ministero degli Interni egiziano, Abu Bakr Abdel-Karim, ha negato che le autorità del Cairo abbiano mai parlato di un collegamento certo e diretto tra i cinque uccisi e il caso Regeni. Ma nell'abitazione della famiglia Tarek, la polizia egiziana sostiene di aver trovato passaporto, carta d'identità e tessera universitaria della giovane vittima, come i media locali hanno mostrato in alcune foto e per questo alcuni parenti di Rasha sono stati arrestati.
Anche su questo, la donna ha una versione dei fatti diversa. Alla Cnn ha spiegato che gli oggetti che compaiono nelle foto insieme ai documenti di Regeni appartenevano a suoi familiari e tra essi c'era il portafogli del defunto marito, che lui aveva con sé quando è uscito di casa. "Sono rimasta sorpresa quando l'ho visto tra gli altri oggetti", ha spiegato, dicendosi certa che questo prova che è stata la polizia a mettere insieme tutti quegli oggetti durante la perquisizione, avvenuta due giorni dopo l'uccisione dei cinque.