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'Vite di corsa', in Val di Sole la bicicletta raccontata dai fotografi Magnum

Non solo campioni, 80 'scatti' ritraggono l’umanità del rito collettivo del ciclismo

Mostra 'Vite di corsa' , Tour de France 1982 (Foto di Harry Gruyaert)
Mostra 'Vite di corsa' , Tour de France 1982 (Foto di Harry Gruyaert)
03 luglio 2021 | 14.07
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Il ciclismo come grande rito collettivo, fatto di sport, passione ma soprattutto umanità. Uomini che macinano chilometri, misurandosi innanzitutto con sé stessi, ma anche un pubblico che ‘vive’ ai bordi delle strade in attesa del ‘passaggio’ dei campioni e si immedesima con loro. Racconta questo ‘mondo intorno’ la mostra “Vite di corsa. La bicicletta e i fotografi di Magnum. Da Robert Capa ad Alex Majoli”, curata da Marco Minuz, appena inaugurata nell’antico Castello di Caldes, in Val di Sole, aperta al pubblico fino al 26 settembre 2021. (FOTO)

Circa 80 immagini, molte delle quali mai esposte al pubblico, che raccontano le epopee dei campioni e delle grandi manifestazioni internazionali, Tour de France in primis, “attraverso lo sguardo e l’obiettivo di grandi fotografi - dice all’Adnkronos il curatore Marco Minuz – che riescono a cogliere nei loro scatti la magia di questo sport, così fortemente vissuto e partecipato da quelli che lo amano. Uno sport così popolare e democratico, l’unico in cui non si paga un biglietto, dunque del ricco e del povero, della persona istruita e di quella non istruita, tutti uniti ai bordi delle strade a urlare o ad aspettare. Perché in fondo – riflette Minuz – per il pubblico il ciclismo è uno sport di attesa, il passaggio dura pochi secondi, ma si attende anche un’intera giornata per vivere quell’attimo. E’ un rito collettivo narrato da grandi maestri attraverso la loro sensibilità: ne viene fuori un racconto non canonico o standardizzato ma fuori dagli schemi, anche spiazzante”.

Colpiscono le immagini di uomini stremati, che letteralmente crollano sull’asfalto o sul pavé appena superato il traguardo, la partecipazione emotiva dei loro sostenitori, l’indifferente serenità di una mandria che continua a brucare mentre gli umani sembrano impazzire per l’impresa del loro campione. La mostra si apre con una serie, poco nota, di fotografie realizzate da Robert Capa nel 1939 quando venne incaricato dalla rivista “Match” di seguire il Tour de France di quell’anno. Fotografie dove l’attenzione si sposta prevalentemente nella partecipazione del pubblico alla corsa, cogliendo sguardi ed equilibri compositivi.

Un’altra serie di foto realizzate da Guy Le Querrec ‘racconta’ il Tour de France del 1954; all’epoca il fotografo aveva solo 13 anni e si trovava in Bretagna per passare le vacanze estive e dove, in quell’edizione, passava la celebre corsa ciclistica. Circa 30 anni dopo, nel 1985, il fotografo venne invitato a seguire la squadra ciclistica della Renault-Elf durante gli allenamenti invernali; in questa stagione scattò fotografie del campione Laurent Fignon e seguì il campionato di ciclocross. Il percorso prosegue con le iconiche fotografie di Christopher Anderson dedicate al ciclista Lance Amstrong nel 2004 che suggeriscono il triste epilogo della carriera di questo sportivo per doping.

Una sezione è interamente dedicata agli spettatori con i loro riti con foto di Mark Power, Robert Capa, Harry Gruyaert e Richard Kalvar. Sono invece del fotografo italiano Alex Majoli le fotografie dedicate al celebre produttore di bici milanese Alberto Masi con sede del suo laboratorio sotto le curve del Velodromo Vigorelli. Infine una selezione di immagini di Peter Marlow dedicate a frammenti di quotidianità dei corridori impegnati nel giro della Bretagna nel 2003.

A promuovere la mostra, organizzata dalla società Suasez, è l’Azienda per il turismo Val di Sole, in collaborazione con il Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali e il Comune di Caldes. “E’ una mostra decisamente sui generis, una vera e propria sfida – sottolinea Minuz – che vuole collegare un ‘prodotto’ turistico quale il ciclismo, una tradizione (il Trentino è terra di ciclisti, a partire da Moser fino a Paternoster), a un evento culturale di respiro internazionale. Un progetto inedito, non la solita operazione di brokeraggio, per richiamare turisti e appassionati italiani e stranieri”.

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