Eccolo il nuovo Ior, fiore all’occhiello delle riforme di Papa Francesco volute nel solco della trasformazione dolce avviata da Benedetto XVI. Negli ultimi dieci anni il sistema economico-finanziario della Città del Vaticano ha conosciuto, infatti, una rivoluzione copernicana sconosciuta ai più. Una svolta radicale, per certi versi epocale, specie se confrontata con gli anni bui del cardinal Paul Marcinkus, di Sindona, di Calvi, del Banco Ambrosiano.
Una svolta “storica” anche rispetto a chi è venuto dopo il potentissimo monsignore americano con le polemiche che hanno accompagnato le gestioni del successore Angelo Caloia (che a fine gennaio, proprio per le iniziali segnalazioni dell’Istituto Opere Religiose, saprà come si concluderà il processo a suo carico dove rischia 8 anni di carcere per la svendita dei beni immobiliari della banca pontifica) e di vari altri personaggi noti alle cronache transitati a vario titolo per le segrete stanze del Torrione di Nicolò V.
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Stando ad alcuni documenti visionati e a più fonti interne alle finanze vaticane contattate in questi mesi, l’Adnkronos è in grado di raccontare i segreti del “nuovo Ior”.
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Tutto ha inizio nel 2010 quando all’interno delle mura leonine vengono gettate le basi del rinnovamento finanziario puntando su quattro capisaldi: trasparenza, tracciabilità, efficienza, riconoscimento internazionale. Con l’introduzione della prima disciplina antiriciclaggio in Vaticano “consacrata” con la legge 127 del 30 dicembre di dieci anni emanata da Papa Benedetto, e poi ancor più intensamente a seguito dell’emanazione dei Motu Proprio di Papa Bergoglio dell’11 luglio e dell’8 agosto 2013 (anno d’inizio della revisione Moneyval, ovvero del comitato di esperti del Consiglio d’Europa sulla valutazione delle misure antiriciclaggio e antiterrorismo) l’ordinamento giuridico vaticano si è adeguato ai migliori standard normativi internazionali in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e finanziamento del terrorismo.
A questa rivoluzione copernicana non si è sottratto lo Ior che insieme all’Autorità di Informazione Finanziaria (la vecchia Aif, oggi Asif) ne è stato il principale attuatore quale unico intermediario autorizzato a svolgere professionalmente attività finanziaria in Vaticano e che – come dimostra l’evoluzione delle sue attività degli ultimi anni – ne è uscito rinnovato e rafforzato.
In particolare, a partire dal 2013, lo Ior ha scrupolosamente rivisto le proprie procedure interne e aggiornato – in modo capillare – l’adeguata verifica della propria clientela, chiudendo tutte le posizioni di cui non era stati possibile identificare i beneficiari effettivi. Basta conti cifrati, stop a transazioni sospette, niente più etichette di “banca off shore” al di fuori di ogni regola internazionale.
Inoltre, per ridurre i rischi e concentrarsi sulla propria attività statutaria (che poi è banalmente quella di custodire e amministrare i beni destinati a opere di religione e carità) lo Ior ha anche deciso di rinunciare alla “clientela diversa” degli enti della Santa Sede, delle congregazioni religiose e dei relativi appartenenti. Ciò perché, evidentemente, non ha come suo scopo quello di perseguire il profitto, quanto piuttosto di servire la Chiesa e le Istituzioni della Santa Sede, offrendo servizi finanziari dedicati e adeguati alla loro missione.
Allo stesso tempo, proprio in considerazione della sua missione al servizio della Chiesa, il “nuovo Ior” ha ulteriormente rafforzato le proprie strutture e procedure per garantire la conformità anzitutto morale ed etica, oltre che legale, di tutte le proprie attività e operazioni. Grazie a questo lungo lavoro di adeguamento, oggi lo Ior, con una robusta governance e un sistema di controllo interno su tre livelli, è in linea con il contesto normativo vaticano e internazionale, e può offrire le garanzie della pubblicità e certificazione del bilancio, della trasparenza fiscale, della tracciabilità dei processi decisionali e dei flussi informativi, presentandosi come un partner affidabile per le maggiori istituzioni finanziarie internazionali (ad oggi ha 45 controparti).
Ad oggi lo Ior vanta 15mila clienti, di cui 4.200 enti giuridici e 106 dipendenti. Offre servizi bancari in supporto alla missione della Chiesa nel mondo e servizi di asset management, cioè gestioni patrimoniali, che al 1 dicembre del 2020 hanno portato ad una raccolta totale di clientela di 5,1 miliardi, con un totale attivo di 2,9 miliardi, un patrimonio netto di 680 milioni e un utile devoluto alla Santa Sede di 38 milioni di euro. Una politica che sta dando i suoi frutti se si pensa che nell’anno in corso ben 12 delle 14 linee di investimento hanno battuto il benchmark e tutte e 14 hanno avuto rendimenti positivi.
Ma c’è di più. Sul fronte delle gestioni patrimoniali, oggi lo Ior gestisce asset per 2,9 miliardi con 1.400 clienti, di cui 990 enti giuridici, assicurando, peraltro, politiche di investimento coerenti con la Dottrina Sociale della Chiesa (e solide misure di controllo per garantirne la conformità etica) e perseguendo l’obiettivo di fornire rendimenti costanti, in linea con il profilo di rischio del cliente, seguito da un team di 6 professionisti dedicati e informato trimestralmente dei risultati dell’investimento.
Per garantire investimenti coerenti con la Fede Cattolica, lo Ior si è dato una politica chiara e trasparente sui criteri di selezione, sia quantitativi che qualitativi, con l’utilizzo – tra l’altro - del database “Sustainalytics”, che comprende 12mila aziende e 350 criteri di selezione, e scegliendo investimenti che siano in linea con i 10 principi del Global Compact delle Nazioni Unite. Anche per assicurare il rispetto della Dottrina Sociale della Chiesa durante l’intera durata dell’investimento, lo Ior garantisce il monitoraggio a livello di portafoglio e di singolo titolo, una funzione di risk management come secondo livello di controllo che include e controlla il rispetto dei criteri etici, e revisioni periodiche dell’universo investibile definito.
La strategia di collocamento dello Ior è molto diversificata e passa da investimenti monetari fino agli investimenti in obbligazioni. La politica di investimento è prudente e registra nel 2020 un rendimento corretto nonostante il quadro economico difficile.
A leggere la documentazione interna allo Ior, dunque, l’Istituto per le Opere di Religione punta a offrire investimenti prudenti ed etici, “coerenti con la fede Cattolica e su misura per il cliente”, attraverso un team esperto, con “controlli rigorosi, un processo disciplinato di investimenti, trasparente, coerente e scalabile”. E anche “la governance dell’Istituto è studiata per raggiungere questi obiettivi”, con una Commissione Cardinalizia che “vigila sul rispetto dello Statuto" e che nomina un Prelato per seguire le attività dell’Ente e i membri del Consiglio di Sovraintendenza (responsabile dell’amministrazione e della gestione), e una Direzione alla quale è affidata "l’attività operativa”. Le funzioni di controllo si sviluppano su tre livelli: Internal Audit, Compliance e Aml, Risk Management.
La narrazione mediatica dello Ior come una spregiudicata banca d’affari vaticana, dunque, non ha più ragion d’essere perché è proprio dall’interno del “nuovo Ior” che dal 2014 parte un’opera di pulizia senza precedenti, di trasparenza assoluta, seguendo alla lettera le indicazioni del Pontefice sul fronte della lotta agli sprechi e alla corruzione.