Le parole all'Adnkronos di Nicola Di Matteo, fratello del bambino strangolato e poi sciolto nell'acido: "Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé porta dietro tanti segreti". Salvatore Borsellino: "Si è fatto curare dallo Stato". L'agente sopravvissuto a via D'Amelio: "Verità su stragi si allontana"
La morte di Matteo Messina Denaro? "Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato". A dirlo all'Adnkronos è Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il bambino strangolato e poi sciolto nell'acido, su ordine, tra gli altri, di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato, e Matteo Messina Denaro, nel giorno della morte dell'ex primula rossa. Nelle ore immediatamente successive all'arresto del padrino di Castelvetrano, avvenuto lo scorso 16 gennaio a Palermo, Di Matteo parlando con l'Adnkronos aveva spiegato: "Mi auguro che possa vivere il più a lungo possibile per avere una lunga sofferenza, la stessa che ha imposto a mio fratello, un ragazzino innocente".
Oggi la notizia della fine del capomafia nell'ospedale de l'Aquila dove era ricoverato da agosto non gli provoca "nessun sollievo". "Da credente non avrei potuto augurargli la morte. Non si può augurarla a nessuno se si ha un po' di umanità, ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto". Ai magistrati che lo interrogavano lo scorso febbraio Matteo Messina Denaro, a proposito dell'omicidio del piccolo Di Matteo, spiegò: "Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l'omicidio del bambino non c'entro". Ma per Nicola Di Matteo "il perdono è impossibile". "Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me", dice. Oggi, come nel giorno dell'omicidio del fratello, il dolore si rinnova. "Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. E' una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino...".
"Se fossi credente, visto che non c'è stata una giustizia in terra, potrei confidare in una divina, purtroppo essendo laico non posso sperare neppure in quella. L'arresto di Matteo Messina Denaro non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi, con la sua morte si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D'altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire. Era assolutamente improbabile". Lo dice all'Adnkronos Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso nella strage di via D'Amelio insieme agli agenti della scorta.
"Con la sua fine non credo si chiuda niente - aggiunge -. La mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non parlo di quella degli anni '90, della Cosa nostra stragista, ma di una mafia molto più pericolosa, che si è insinuata nell'economia, nelle amministrazioni, che è si resa invisibile e che, per questo motivo, è difficile da scoprire ed estremamente più pericolosa". C'è amarezza nelle parole del fondatore del movimento delle Agende rosse. "Non ho motivo per rallegrarmi. Penso solo che oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello né la verità sulla strage in cui ha perso la vita".
"Sono stanco e disgustato da tante cose. Non ho più voglia di parlare. Dico solo che con Messina Denaro se ne va un altro protagonista di quegli anni, una mente storica che avrebbe potuto darci elementi utili a ricostruire cosa è successo. Ancora una volta la verità sulle stragi si allontana". A dirlo all'Adnkronos è Antonio Vullo, l'agente di scorta di Paolo Borsellino sopravvissuto alla strage di via D'Amelio, a proposito della morte del capomafia.
I messaggi di cordoglio social alla famiglia dell'ex primula rossa? "Se è rimasto latitante tutto questo tempo è perché ha potuto contare su coperture - aggiunge -. E' rimasto a lungo nascosto a 'casa' sua, lo conoscevano tutti, non si è neppure nascosto. Dobbiamo meravigliarci di quei messaggi?".
(di Rossana Locastro)
Nel corso degli anni il boss morto oggi ha accumulato avvisi di cattura e condanne all'ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, ma anche diversi attentati. Condannato per la strage di Capaci - dove morirono il giudice Falcone, la moglie e tre agenti di scorta - Messina Denaro è ritenuto responsabile anche della Strage dei Georgofili a Firenze e mandante di quella di via Palestro a Milano, oltre all'attentato di via Furio a Roma con obiettivo Maurizio Costanzo. Tra le accuse, anche quella di aver dato l'ordine sul sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido dopo essere stato strangolato al termine dei quasi 800 giorni di prigionia.