In aula oggi la testimonianza del padre del ricercatore friulano: "Amava studiare, mai alle dipendenze di autorità italiane o straniere". La segretaria del Pd: "Processo importante per nostra Repubblica"
Nuova udienza del processo davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma ai quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Al presidio davanti alla città giudiziaria con i genitori e l’avvocato della famiglia è presente anche la segretaria del Pd Elly Schlein.
"Ancora una volta siamo qui al fianco alla famiglia Regeni. Questo è un processo importantissimo - ha sottolineato Schlein - ed è una questione che riguarda la nostra Repubblica e non solo una singola famiglia. Non dobbiamo dimenticare che questo processo ha incontrato enormi ostacoli anche per i rapporti con l'Egitto".
I quattro agenti della National Security imputati sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest'ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Giulio “voleva rendersi indipendente e trovare un lavoro per valorizzare le sue capacità. Amava lo studio, cercava di coinvolgere tutti, era sempre rispettoso nei confronti degli altri”, ha detto Claudio Regeni, padre di Giulio, sentito questa mattina in aula come testimone nel processo. Il padre, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, ha ripercorso l’infanzia di Giulio a Fiumicello, in provincia di Udine, i viaggi con la famiglia “abbiamo sempre viaggiato - ha ricordato Claudio Regeni mentre sono state mostrate in aula alcune foto di Giulio con la sua famiglia e i suoi amici - era una nostra passione, volevamo conoscere altre culture, lingue, usanze e così sono cresciuti i nostri figli”.
E poi gli studi prima in Italia e poi all’estero.. “Giulio era molto appassionato di materie umanistiche, soprattutto storia. Parlava bene l’inglese, l’arabo, lo spagnolo e il tedesco e stava studiando anche il francese. Ha lasciato Fiumicello per gli Stati Uniti a 17 anni. Amava studiare”, ha detto il padre. Dopo la sua morte “abbiamo dovuto chiudere i suoi conti. Aveva un conto in Italia del quale ero cointestatario - ha detto in aula Claudio Regeni - aperto quando era nel New Mexico. Al saldo c’erano 1481 euro. Poi aveva un conto corrente presso una banca inglese per le spese in Inghilterra. Su questo c’erano versamenti di Oxford Analytica dove aveva lavorato, qualche piccolo rimborso dall’università di Cambridge per il dottorato. Il saldo era di circa 6000 sterline”. Giulio, ha sottolineato il padre Claudio, “non è mai stato alle dipendenze di autorità italiane, inglesi e egiziane. Né ci ha mai collaborato”.
“A Natale 2015 ci siamo visti, mi ha raccontato della sua ricerca al Cairo, che stava passando molto tempo con i venditori ambulanti, che teneva un profilo molto basso, che era molto stancante”. A raccontarlo è stata un’amica di Giulio Regeni sentita anche lei in aula come testimone nel processo. “Mi ha raccontato poi via chat nel gennaio 2016 che in Egitto c’era molta repressione politica. Mi diceva che bisognava stare attenti, che teneva un profilo molto basso”, ha spiegato. “Conosco Giulio da quando siamo piccoli, poi abbiamo frequentato lo stesso liceo e siamo diventati amici - ha detto l’amica di Giulio rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco - Giulio coltivava il rapporto con la famiglia e con gli amici. Faceva la vita di uno studente che vive con un budget limitato”.