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Progetto mira a sviluppare collaborazioni nell’ambito dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e, nel caso specifico, sull’Adriatico.
Bottiglie, sacchetti, posate usa e getta: lungo le coste del Mediterraneo i rifiuti di plastica monouso sono più 15 ogni 10 metri. Troppi, secondo l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che reputa accettabili per un buono stato ambientale meno di 2 rifiuti ogni 10 metri.
Per contrastare questo tipo di inquinamento, il programma Interreg VI-B IPA Adriatico-Ionico dell'Unione Europea ha finanziato il progetto Adriplast, che ha preso il via il 3 febbraio con l’evento organizzato al Polo Scientifico Tecnologico dell’Università di Ferrara.
Insieme all’Ateneo ferrarese, una cordata interdisciplinare di enti provenienti da altri cinque Paesi dell'area Adriatico-Ionica (Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro e Albania) e capitanata dal CURSA, Consorzio Universitario per la Ricerca Socio-economica ed Ambientale, costituito tra le Università di Ferrara, Viterbo e del Molise.
Fare rete per ridurre l’inquinamento nell’Adriatico. Gli obiettivi del progetto AdriPlast
“L'Unione Europea produce ogni anno oltre 15 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggi in plastica, un dato in crescita del 25% rispetto al 2010. Solo il 38% di questi rifiuti viene riciclato, con l'Italia che, pur registrando valori migliori della media UE, arriva al 44% di riciclo.” spiega Massimo Coltorti, professore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione e responsabile del progetto per Unife.
Per facilitare i Paesi del Mediterraneo a raggiungere gli obiettivi stabiliti dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e identificare soluzioni sostenibili per la riduzione dei rifiuti plastici, Adriplast mira a sviluppare collaborazioni nell’ambito dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e, nel caso specifico, sull’Adriatico.
“Ѐ evidente che non servirebbe a molto limitare l’uso e la diffusione delle plastiche in un solo Paese che si affaccia sull’Adriatico e che solo un coordinamento ed uno sforzo comune può portare a dei risultati tangibili” aggiunge il Professor Coltorti. “Pertanto, obiettivo principale del progetto è la collaborazione transfrontaliera. Creare cioè una rete di cooperazione tra i Paesi partner per condividere buone pratiche e rafforzare gli sforzi regionali”.
Inoltre, Adriplast prevede attività di ricerca scientifica e monitoraggio ambientale.
“Condurremo studi approfonditi per comprendere meglio l'origine, la distribuzione, e l'impatto dei rifiuti plastici negli ecosistemi acquatici.
L’origine nasce dalle attività produttive, ma anche dalla cattiva educazione dei cittadini che non hanno sufficiente consapevolezza delle conseguenze causate dall’abbandono anche di un semplice bicchiere di plastica sulla spiaggia.
La distribuzione dipende dal trasporto fluviale e risente delle correnti marine che tendono a concentrare i rifiuti plastici nelle zone di minima energia, come le lagune costiere che per contrappasso sono i luoghi più ricchi di biodiversità.
Si sta cominciando adesso a studiare l’impatto delle microplastiche sulla crescita e sullo sviluppo degli organismi viventi e persino sulle proprietà organolettiche di frutta e verdura, ma è un vaso di Pandora che è stato appena aperto e le cui ricadute sono ben lontane dall’essere comprese allo stato attuale delle nostre conoscenze” continua il Professor Coltorti.
Infine, è prevista una fase di promozione della sostenibilità: “Sensibilizzare le comunità locali sull'importanza della riduzione della plastica monouso e promuovere una gestione efficace dei rifiuti. Ѐ fondamentale sviluppare una consapevolezza e una coscienza delle conseguenze dei nostri gesti quotidiani. La plastica di per sé può essere facilmente riciclata se raccolta e trattata per tipologie omogene. Diventa praticamente impossibile o estremamente dispendioso, riciclarla se mescolata con altri rifiuti o addirittura se dispersa nell’ambiente. E non dimentichiamoci mai che i prodotti plastici derivano dai combustibili fossili, e che il loro continuo emungimento contribuisce ad innalzare il livello dei GHG (GreenHouse Gases) che contribuiscono all’effetto serra ed al riscaldamento globale del nostro pianeta” spiega il Professo Coltorti.
Tecnologie d’eccellenza e tracciabilità alimentare. Il contributo dell’Università di Ferrara
Il team di ricercatrici e ricercatori del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione (DISAP) dell'Università di Ferrara partecipa attivamente al progetto grazie alla sua esperienza in ricerca ambientale nei settori della geomorfologia, geoecologia e per la protezione delle aree costiere. Inoltre, grazie a Unife si avrà la possibilità di utilizzare strumentazioni per analisi geochimiche all’avanguardia.
“Il progetto vede la luce grazie al grande lavoro iniziale di stesura e coordinamento della Professoressa Corinne Corbau, che insieme alla Professoressa Carmela Vaccaro e a diversi dottorandi e assegnisti stanno portando avanti queste ricerche da diversi anni” sottolinea il Professor Coltorti.
“Insieme le ricercatrici e i ricercatori lavoreranno per identificare le principali fonti di inquinamento da plastica negli ecosistemi acquatici e sviluppare strategie per ridurne la presenza, valorizzando approcci innovativi e coinvolgendo le comunità locali. Il progetto mira infatti non solo ad ottenere dei risultati scientifici, ma anche, e forse soprattutto, a sviluppare una coscienza nei cittadini dei Paesi che circondano l’Adriatico per affrontare una sfida globale partendo dal basso”.
In collaborazione con le/gli ingegneri informatici del Dipartimento di Ingegneria di Unife, il gruppo sta inoltre lavorando anche ad una proposta di tracciabilità alimentare, nata da un progetto finanziato dal CURSA, che garantisca la salubrità e la provenienza del prodotto con un sistema tipo Block-chain attraverso un codice QR riportato nell’etichetta, che permetta al consumatore di ricostruire tutto il percorso e le condizioni fisico-chimiche dell’ambiente da cui quel prodotto proviene.
“E’ evidente che la salubrità del prodotto alimentare non può prescindere dalla chiara localizzazione geografica e che pertanto sia necessario affiancare ad uno studio della riduzione dell’inquinamento da microplastiche un progetto che garantisca la provenienza del prodotto alimentare, quello ittico in primis, considerando l’alto livello e la maggiore visibilità dell’inquinamento da plastica nell’ambiente marino" sottolinea il Professor Massimo Coltorti
Un'emergenza globale, una sfida per il Mediterraneo
“Dal 1964, la produzione mondiale di plastica è cresciuta esponenzialmente, passando da 15 milioni a oltre 310 milioni di tonnellate all'anno. Oggi, almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani ogni anno, e si stima che vi siano già oltre 150 milioni di tonnellate di plastica nei mari” spiega il Professor Massimo Coltorti, che continua:
“Proseguendo con i trend attuali, entro il 2050 gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci in termini di peso. In effetti, secondo lo studio della WWF, senza interventi concreti, entro il 2050 la plastica prodotta potrebbe raggiungere i 34 miliardi di tonnellate, con conseguenze disastrose per gli ambienti naturali e la biodiversità. Infatti la degradazione delle plastiche produce miliardi di particelle di dimensioni micrometriche (un milionesimo di metro, le microplastiche, appunto) che vengono ingerite dagli organismi marini (pesci, crostacei, uccelli, etc..), entrano nella catena alimentare e arrivano, ovviamente nascoste, anche sulla nostra tavola e all’interno del nostro organismo.
C’è grande incertezza sul quantitativo di plastica che entra nel nostro organismo attraverso il cibo, l’acqua e l’aria ogni giorno, da pochi microgrammi a addirittura qualche grammo (il peso di una carta di credito) a settimana, ma è certo che l’uomo non può più considerarsi esente da questa forma di inquinamento”.
“Il Mediterraneo, pur rappresentando meno dell'1% della superficie marina globale, ospita il 7% di tutte le microplastiche presenti nei mari. Uno studio del Parlamento Europeo evidenzia come, senza interventi, il volume dei rifiuti plastici potrebbe in un futuro non lontano raggiungere livelli di inquinamento insostenibili per la biodiversità” conclude il Professor Massimo Coltorti.