
Dal nuovo film 'La città proibita' al suo rapporto con Roma fino all'amore per le sale: il regista, sceneggiatore e produttore si racconta all'Adnkronos
Arti marziali, amatriciana, amore e Roma. Ne 'La città proibita' c'è tutto l'immaginario di Gabriele Mainetti. "Cerco di portare sul grande schermo mondi nuovi, come fa Tarantino. È stato lui a ricordarci che lo spettatore può intrattenere un rapporto ludico con l'esperienza cinematografica, questo è fondamentale. E così ho pensato 'perché non fare un film d'arti marziali?' E l'ho fatto". A dirlo è il regista, sceneggiatore e produttore Gabriele Mainetti, ospite del nuovo episodio del vodcast dell'Adnkronos, disponibile in versione integrale sul sito www.adnkronos.com e sul canale YouTube dell'Adnkronos. "Con i miei amici guardavamo i film di Bruce Lee, è un immaginario che mi appartiene. Io credo che sia un errore rimuovere il passato quando si diventa grandi e lo è anche parlare soltanto dei grandi padri del cinema italiano", riflette Mainetti, cresciuto a pane, bucatini all'amatriciana ("è il mio piatto preferito, me lo preparava sempre mamma"), manga e anime "che ho protetto con ardore". Mondi narrativi che hanno portato il regista a pensare a 'La città proibita', dal 13 marzo in oltre 400 sale e in anteprima dall'8 marzo in 200 sale con PiperFilm, che arriva a quattro anni da 'Freaks Out' e a 10 da 'Lo chiamavano Jeeg Robot'. "Dopo 'Freaks Out' non ho avuto un blocco creativo, quello non ce l'ho mai. Però mi sono sentito svuotato, è la prima volta che provavo quella sensazione", ricorda Mainetti.
Al centro del suo nuovo film c'è Mei, interpretata dalla stuntwoman Yaxi Liu ("l'ho scoperta su Instagram"), che dalla Cina arriva a Roma per cercare la sorella. Tra scene d'azione girate a regole d'arte, romanticismo, crimine e integrazione ci sono due simboli della romanità: Sabrina Ferilli e Marco Giallini: "Loro raccontano una Roma che non morirà mai. C'è un'immortalità nel loro essere romani, spero che restino degli 'highlander' in questa città. Un po' come i bucatini all'amatriciana, la gricia, la carbonara e gli straccetti con la rughetta: stanno sempre là, sono sempre quelli. Penso che la romanità sia un modo di essere, una vera e propria cultura". Tra Mainetti e Roma c'è amore e odio: "Ci litigo tutti i giorni", dice il regista, "anche se alla fine mi arrendo, è parte di me. Ammetto che mi fa arrabbiare, però è talmente bella che non riesco a lasciarla: 'With or without you, I can't live', come canta Bono degli U2'".
"Il sequel de 'Lo chiamavano Jeeg Robot'? A volte ci penso. Claudio Santamaria (interprete di Jeeg Robot, ndr) si inventa le peggio cose pur di spingermi a fare il sequel. L'altro giorno mi ha chiamato e mi ha detto 'Gabri sto per morire, dobbiamo fare il sequel di 'Jeeg Robot'", dice Mainetti. "Ce l'avevo in testa, poi è svanito. Il primo film ha avuto tanto successo, perché dovrei fare il secondo?". Di solito "i sequel sono andati bene da un punto di vista economico, ma a me non interessa quello. Io voglio solo fare un buon film e mi sembra che 'Lo chiamavano Jeeg Robot' si sia chiuso in modo meraviglioso". Sulla possibilità di fare una serie, Mainetti non ha dubbi: "Per carità, non scherziamo!". Nel frattempo il regista, sceneggiatore e produttore è al lavoro su un nuovo progetto: "Sto scrivendo un nuovo film, ma non vi dirò nulla", dice il regista, che svela: "Roma ci sarà", anche se "mi dicono che questa romanocentricità è faticosa. Lei è sempre nella mia testa non riesco a liberarmene". Anche "Scorsese e Spike Lee raccontano la realtà che gli è più vicina".
"Prima de 'La città proibita' ho detto 'no' alla possibilità di fare una roba gigantesca in streaming. Per me le sale sono sacre, l'esperienza in sala è salvifica, catartica e meravigliosa", svela Mainetti. E' successo anche per 'Freaks Out', il suo secondo film: "Ho rinunciato ad un guadagno importante quando durante il Covid voleva essere comprato da una piattaforma. Non mi sono pentito, io l'avevo fatto per la sala e credo che bisogna combattere per questo". Sulla difficoltà che stanno vivendo le sale, per il regista bisogna lavorare su più fronti: "mettere in atto tutte le strategie possibili per aiutare gli esercenti a migliorare le sale" e poi "bisogna saper fare dei bei film che siano raccontati bene". (di Lucrezia Leombruni e Loredana Errico)