Due ricercatori hanno ricostruito la vicenda a partire da una visione aerea di Pisa di metà Ottocento in cui si raffigura l'animale in compagnia di una mucca e di un vitello
Per alcuni anni a metà Ottocento una giraffa visse nell'Orto botanico dell'Università di Pisa insieme a una mucca e a un vitello. La curiosa vicenda è stata ricostruita in un articolo pubblicato sul "Journal of Zoological and Botanical Gardens" da due ricercatori dell'Ateneo pisano, Gianni Bedini e Simone Farina.
I due studiosi hanno scovato il primo indizio dell'animale a partire da un disegno del 1849 di Alfred Guesdon, intitolato "Pise. Vue prise au dessus du Campo Santo". Si tratta di una minuziosa mappa aerea della città che Guesdon tracciò, come era solito fare per le sue vedute, da una mongolfiera ancorata al confine settentrionale della Piazza dei Miracoli.
La vista – di fatto paragonabile ad una moderna immagine ripresa da un drone – comprende l'Orto Botanico di Pisa dove, in un recinto circolare in prossimità dell'attuale ingresso di via Ghini, si trova appunto la giraffa in compagnia dei due bovidi. Una presenza, che a parte alcune certezze, solleva in realtà molti interrogativi. Ma cominciamo dall’inizio. La giraffa di proprietà del Granduca Leopoldo II era giunta a Livorno da Alessandria d’Egitto nel 1847 per poi proseguire, non si sa bene con che mezzi, sino a Pisa. Qui il Granduca l’aveva affidata alle cure di Paolo Savi, direttore del Museo di Storia Naturale, che aveva collocato la giraffa nell’orto botanico e così ne scriveva ad un amico: "E' un maschio, adesso vispo e allegro, talchè sembra sanissimo, ha in sua compagnia una Vacca con vitello..."
"Abbastanza sorprendentemente, a parte la lettera di Savi – racconta Bedini - non abbiamo trovato alcuna menzione della giraffa nei resoconti dei visitatori, non sappiamo poi come abbia passato gli inverni all'orto botanico, non ci sono infatti indizi su dove fosse ospitato un animale così grande, né come venisse nutrito o con quali foraggi".
Un paio di anni più tardi, verso la fine del 1849 la giraffa fu quindi spostata a San Rossore, anche in questo caso non si sa come. Qui però il Granduca fece appositamente costruire una stalla che su indicazione di Savi fu esposta a sud per ridurre i disagi dell’inverno. Il costruttore, Agostini Gigli, informò Savi che la stalla era terminata il 15 ottobre 1849, dopodiché il Sovrintendente ai Possedimenti Reali consentì a Savi di spostare la giraffa nella sua nuova casa. Qui alcuni anni dopo l'animale si ammalò di un'infiammazione alla bocca e morì nel 1853. Una volta appreso il decesso, con una lettera del 5 dicembre 1853, il Granduca ordinò di inviare la pelle e lo scheletro al Museo di Storia Naturale di Firenze e i visceri al Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa. L’allora dissettore del museo Cesare Studiati scrisse un dettagliato resoconto delle preparazioni anatomiche degli organi interni che eseguì nel 1853–1854: ancora oggi il cuore della giraffa è in mostra nel Museo di Storia Naturale dell’Ateneo pisano.
"La giraffa fu l’ultimo animale custodito nell’orto botanico, un precedente erano state tre antilopi sempre del Granduca la cui presenza nel 1828 era stata molto ben documentata da Paolo Savi – conclude Farina – nel caso della giraffa invece la sua esistenza sarebbe passata del tutto inosservata senza le lettere di Savi e la documentazione iconografica di Guesdon realizzata proprio durante la breve finestra temporale in cui l’animale fu ospite dell’orto".