Buzzi contesta alla radice l’accusa dei magistrati che dipingevano un quadro di rapporti inestricabili fra lui e l’allora sindaco di Roma
"Ci speravo tanto nell’assoluzione di Alemanno. Ha vissuto sette anni di incubo per delle scemenze. Io so bene, nel mio intimo, di non averlo corrotto. Assolutamente! L’ho spiegato in tutti i modi, l’ho spiegato negli interrogatori in procura, al processo. Eppure per questa storia di Alemanno io non ho nemmeno le attenuanti generiche. Mi hanno detto che non potevo averle perché lo proteggevo. Ma ora, di fronte all’assoluzione di Alemanno, qualcuno dovrebbe chiedere scusa. O no?". Così all’Adnkronos, dopo l’assoluzione in Cassazione dell’ex sindaco di Roma dall’accusa di corruzione, l’ex ‘ras’ delle cooperative Salvatore Buzzi, insieme all’ex Nar Massimo Carminati principale imputato nel processo ‘Mafia Capitale’, entrambi condannati ma per i quali la Suprema Corte ha escluso l’associazione mafiosa.
Buzzi contesta alla radice l’accusa dei magistrati che dipingevano un quadro di rapporti inestricabili fra lui e l’allora sindaco di Roma, e accusa i pm di illogicità: "Mi accusavano di proteggere Alemanno – osserva -, ma io, prima del mio arresto, lo avrò incontrato tre o quattro volte. Perché avrei dovuto proteggerlo? Non c’è logica, non c’è un senso. E anche quando al processo è venuto Cantone, che era presidente dell’Anac, è emerso che assolutamente io non avevo nessun monopolio nel Comune di Roma. Però i pm, pervicacemente, sono andati contro ogni logica con la tesi dell’asservimento. Ma io ho anche manifestato contro Alemanno, perché il Comune non ci pagava crediti legittimi e mai contestati. Ma se era asservito, andavo a manifestare contro il sindaco? I pm hanno agito contro la logica".
Eppure, nonostante l’accusa di associazione mafiosa sia ormai definitivamente caduta, nell’immaginario collettivo di molti, Roma è la città che per anni è stata in mano a criminali mafiosi. Una sensazione di cui però Buzzi non si assume nessuna responsabilità: "Pignatone dovrebbe chiedere scusa, non solo ad Alemanno, ma a tutti noi e a tutti i romani, perché la mafia non c'era e noi abbiamo vinto sempre. Noi eravamo il Frosinone che giocava una partita contro il Real Madrid a Madrid e con l’arbitro dalla loro parte, e siamo riusciti a pareggiare. Noi, sulla tesi che non fosse mafia, abbiamo avuto come testimoni a favore, citati da noi e non dai pm, Sabella, Cantone e il colonnello dei carabinieri che ha svolto le indagini. I pm non hanno portato nessun testimone in grado di dire che era stato intimidito da Buzzi o da Carminati sulla pubblica amministrazione. Niente, nessuno. Eppure sono andati contro ogni logica con pervicacia".
Buzzi è stato in carcere per 5 anni e 7 mesi, nel reparto di Alta Sicurezza. Un periodo lungo per pensare e capire se c’erano motivi per pentirsi o per sentirsi vittima di qualcosa o di qualcuno: "Io mi sento vittima – afferma -, ma vittima di un’inchiesta che voleva colpire Alemanno e la destra e gli sono capitato di mezzo io come il cacio sui maccheroni. Io e Carminati, perché anche i suoi reati sono insignificanti. Io e lui siamo stati come il cacio sui maccheroni in un’inchiesta partita per colpire la destra, perché loro erano partiti con Alemanno, Mancini e Panzironi. Però di una cosa devo chiedere scusa, per aver pagato 65mila euro di tangenti ma su un fatturato di 180 milioni, e sono diventato il grande corruttore. Sono stato bravo, ho pagato pochissimo. Parnasi è imputato per 200mila euro, per capirci. Poi, certo, c’è il mondo delle ‘anime belle’ che dicono che non si deve pagare, ma quando fai l’imprenditore devi incassare, e pagando 65mila euro di tangenti su 180 milioni di fatturato…sono stato bravo. Però sono ugualmente pentito di averlo fatto".
Ma non è solo di questo che Buzzi è pentito: "Non farei più un accordo con Carminati – confessa -, perché Massimo si portava dietro le sue sventure giudiziarie e insieme ci hanno ammazzato. Se io non avessi incontrato lui, e lui me, non ci sarebbe stata questa inchiesta, non ci sarebbe stato proprio il motivo per condurla".
Inchiesta che per anni è valsa a Buzzi l’accusa di mafia, portata avanti dalla procura di Roma fino alla fine. Una tenacia di fronte alla quale Buzzi all’AdnKronos dice di aver reagito sempre in un unico modo: "Io sono uno scorpione ascendente sagittario – afferma -, nelle difficoltà mi esalto. Quell’accusa mi provocava dentro la determinazione a smontarla. Ma l’impatto dell’inchiesta è stato enorme. Ero ricco e sono diventato povero, mi hanno sequestrato tutto il patrimonio in quanto mafioso nonostante l’assoluzione dall’accusa di mafia. Hanno sequestrato le cooperative facendole fallire, 1.260 persone sono finite a spasso. Questi sono i danni collaterali di questa inchiesta, a parte la galera che ci siamo fatti e il discredito sulla città di Roma".
Anni bui per Buzzi, quelli di ‘Mafia Capitale’, anni nei quali si è sentito tradito: "Mi sono sentito tradito solo dai miei compagni di cooperativa – afferma -, potevano difendermi di più, però, come diceva Manzoni, se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare". Un giorno, chissà, magari Buzzi avrà la possibilità di incontrarli i magistrati che lo dipingevano come mafioso. "Se accadesse – dice -, certo non li insulterei, gli spiegherei tranquillamente dove hanno sbagliato. Io guardo avanti, non indietro. Guardare al passato fa sentire rancorosi. E poi, tutto sommato sono ancora vivo e ho una bella famiglia".
E se non i magistrati, Buzzi potrebbe, prima o poi, incrociare proprio Alemanno per le vie di Roma: "Lo porterei in pizzeria, per farci due chiacchiere su incubo che abbiamo passato. Siamo entrambi vittime".